venerdì 30 settembre 2011

80° Consiglio dei Delegati della FdCA - Ordine del giorno

80° Consiglio dei Delegati della FdCA

Fano, 25 settembre 2011

presso locali FdCA, Piazza Capuana

Ordine del giorno

Rapina a mano armata

Il debito fa paura. Lo spread terrorizza. Le manovre del governo contano su questo effetto da panico per poter più agevolmente trasferire ricchezza dalle tasche dei lavoratori a quelle di banchieri ed investitori istituzionali, con la scusa di un debito da pagare. La rapina in atto è su grande scala: blocco dei contratti, intervento di cassa sulle pensioni e sulle liquidazioni, possibilità di licenziamento, contrazione salariale, tagli ai servizi pubblici e quindi privatizzazioni e liberalizzazioni, depredazione del territorio e delle sue risorse... un esproprio di decine di miliardi di euro, di enorme liquidità, che viene effettuato sui redditi dei lavoratori e delle lavoratrici, dipendenti e subordinati. Milioni di persone a cui si sta togliendo ogni autonomia ed indipendenza economica, a cui si sta negando ogni possibilità di costruirsi un futuro o di vivere una dignitosa vecchiaia, a cui si sta impedendo ogni capacità di mobilitazione e di lotta perché subordinata al ricatto della precarietà, persone che si vuol costringere a rivolgersi alle banche per diventare dipendenti di un meccanismo infernale di indebitamento.

Un popolo di lavoratori consegnati alla dittatura dei patti di stabilità europei, al diktat delle manovre anti-crisi che finiscono solo per alimentare la crisi, alla penuria di reddito e di risorse.

Rapinati e messi sotto sorveglianza. Se ci si prova a reagire opponendosi, allora la rapina diventa a mano armata e lo Stato schiera le sue forze... armate di tutto punto. Derubati e mazziati.

Tutti gli appuntamenti che preludono alla giornata di protesta del 15 ottobre, ed oltre, e la loro preparazione nei vari territori sono ora le occasioni opportune per rilanciare un movimento sociale di lotta ed un progetto di alternativa sociale. Nel mondo del lavoro, occorre ripristinare la contrattazione del pubblico impiego, abrogare l'art.8 sui licenziamenti, restituire il diritto al TFR ed alla pensione di anzianità, riaprire una stagione contrattuale che chieda aumenti salariali generalizzati, restituire diritti e tutele sindacali ai lavoratori nei posti di lavoro, la disapplicazione dell'accordo del 28 giugno tra sindacati e Confindustria. Nel territorio occorre far applicare gli esiti del referendum dello scorso giugno, sviluppare campagne e lotte per il mantenimento dei servizi sociali, per il diritto alla casa, per affitti più bassi, contro gabelle ed aumenti di tariffe, riportare sotto il controllo pubblico servizi già privatizzati o esternalizzati, sperimentare e praticare nuovi modelli di sviluppo eco solidaristico.

Ma tutto questo ha bisogno di una ripresa generalizzata della capacità di mobilitazione dal basso nell'immediato; della capacità di costruire unità e federabilità delle lotte con prassi organizzativa e propositiva libertaria e orizzontale, nel medio periodo; di un progetto di alternativa sociale sostenuto da organismi di base e di massa indipendenti e con obiettivi di classe solidaristici, propugnato da una nuova sinistra, socialista e libertaria, comunista e anarchica.

Per queste ragioni la FdCA sostiene questi appuntamenti, il loro percorso preparatorio nei vari territori e la loro auspicabile futura radicalizzazione anche grazie al contributo dei militanti anarchici, libertari e di classe.

Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

Fano, 25 settembre 2011

80° Consiglio dei Delegati della FdCA - documento finale

80° Consiglio dei Delegati della FdCA

Fano, 25 settembre 2011

presso locali FdCA, Piazza Capuana

Documento finale

La nuova sindrome cinese:
liberismo ed autoritarismo in salsa nostrana

La crisi finanziaria e la crisi di accumulazione che il capitalismo atlantico si trova ad affrontare si può far risalire, seppur schematicamente ad una crisi di sovrapproduzione di merci e di capitale.

Questa da una parte ha determinato la crescita della finanziarizzazione e dell'impiego di capitali a più alto tasso di rendimento in paesi ed in luoghi che non fossero soggetti a vincoli sociali ed ambientali, rendendo autonomia a quelle borghesie di continenti prima assoggettate al capitale atlantico, ed oggi in grado, come la Cina, di determinare politiche industriali e finanziarie e di acquisire un ruolo sempre più egemone a livello mondiale.

Dall'altra parte la crisi ha comportato una progressiva perdita di importanza economica dell'Europa come catalizzatore di flussi di capitali e di merci, e, come nel caso della succitata Cina, la maggior acquisizione di peso di altre aree geografiche. In Europa, la conseguente diminuzione di crescita economica e di ricchezza prodotta, ha comportato l'inasprimento della lotta di classe intorno alla distribuzione del reddito. In queste fasi critiche, contrassegnate da una diminuzione delle risorse disponibili, l'elemento determinante nella definizione delle scelte politiche ed economiche della società capitalista, e cioè i rapporti di forza tra le varie classi economiche, acquisisce ancor più maggiore rilevanza.

In piena espansione della bolla finanziaria abbiamo assistito agli Stati che corrono in soccorso del Capitale finanziario accollandosi i cosiddetti titoli tossici, mentre i lavoratori che sono stati ingannati dalle sirene degli investimenti e della speculazione finanziaria sono rimasti con un palmo di mano, così come successe per i bond argentini.

La banca europea ha concesso prestiti alle banche private a basso costo, le quali a loro volta hanno reinvestito in forme di finanziarizzazione degli Stati a tassi molto più elevati.

In questo modo gli Stati sono divenuti i principali debitori delle banche private, le quali, preoccupate che questi non falliscano, impongono - attraverso i comandamenti della BCE - loro politiche restrittive nei confronti del welfare e della spesa pubblica.

È un circolo vizioso, in cui le politiche keynesiane, che in parte potrebbero ritardare gli effetti della crisi, non sono all'ordine del giorno.

Il settore dell'economia reale, da cui comunque è partita la crisi finanziaria, ne subisce gli effetti più pesanti con un erosione delle plusvalenze. Ma il sistema per continuare a funzionare ha bisogno di garantire a chi investe, cioè ai capitalisti, sempre il suo margine di profitto.

È qui che si innesca l'inevitabile conflitto tra Capitale e Lavoro, di cui ne abbiamo un esempio in quello che è successo alla FIAT, con il modello Marchionne che ha fatto da apripista per il nuovo corso contenuto anche nell'ultima manovra finanziaria, a ridisegnare i rapporti sindacali scaricando sulla pelle dei lavoratori i costi della crisi, e con la benedizione di tutto un ceto politico, che va dal Partito Democratico agli uomini del Governo Berlusconi e che, per bocca di Sacconi e dei media complici, già intravedeva nel prossimo futuro rapporti aziendali dove sia per sempre bandita la possibilità dei lavoratori ad organizzarsi collettivamente per contrattare la propria condizione ed il proprio salario.

Proprio dal punto di vista dei rapporti di forza, all'interno di questo scenario, registriamo in Italia una grande debolezza delle classi subalterne ad iniziare dalla classe lavoratrice.

Sono caduti uno ad uno i pilastri della sicurezza sociale che nel secolo scorso ed in decenni di lotta la classe proletaria era riuscita a darsi ed a costruire negli anni, dai partiti di massa alle organizzazioni sindacali, che, trasformandosi nel tempo hanno garantito, soprattutto all'interno dei propri stati nazione un contratto sociale che permetteva una redistribuzione della ricchezza a favore delle classi popolari, e dove le borghesie nazionali, in un periodo di espansione capitalista, accettavano che le conquiste della classe operaia smussassero ogni antagonismo rivoluzionario. Ma ora, ridotti i margini delle plusvalenze, tutto ciò non è più possibile. La lotta per la distribuzione delle ricchezze prodotte si inasprisce e chi è più debole soccombe.

Anche grazie alla debolezza e all'inadeguatezza delle storiche rappresentanze politiche e sindacali di classe, dal completo asservimento dei sindacati di servizio CISL, UIL e UGL, alla completa subalternità della CGIL, il cui gruppo dirigente, Camusso in testa, è impegnato a comprimere la spinta alla generalizzazione del conflitto che viene non solo dalla classe operaia, ma anche da altri settori della società reale, del lavoro e del non lavoro. Una subalternità che trova linfa nei riti che puntano alla salvaguardia della burocrazia sindacale e nello squallido legame tra buona parte di questa e il Partito Democratico.

Ma anche all'interno della parte più conflittuale della CGIL, la FIOM, ci sono resistenze alla generalizzazione del conflitto, nonostante l'importante ruolo svolto come catalizzatore del fronte sociale.

D'altra parte pezzi di sindacalismo di base, nel tentativo di acquisire visibilità, sono spesso bloccati da sterili operazioni di salvaguardia delle proprie sigle di appartenenza, dimenticando troppo spesso che il primo fine sarebbe quello di unificare le lotte dei lavoratori che loro stessi rappresentano e, mettendo per prima la rappresentanza rispetto ai rappresentati, finiscono spesso nel non riuscire a catalizzare le espressioni di conflitto che provengono dalla naturale lotta delle classi.

Tutto questo mentre nella società reale la crisi sta producendo ondate di indignazione e di lotta in tutti i paesi del mondo, dove giovani e non solo, al di fuori delle classiche forme organizzative, stanno riscoprendo in una dimensione collettiva la propria capacità di lotta.

Un conflitto attualmente ancorato ad un rapporto politico- istituzionale, ma che presto si renderà conto dell'impossibilità di un percorso istituzionale, non perché le oligarchie al potere ne osteggeranno l'avanzamento, ma perché è appunto impossibile ridefinire ruoli di trattativa con un capitale che deve salvare se stesso. E se il pericolo è che le lotte espresse in questo periodo e quelle che verranno siano dirottate dai vertici burocratici, in vista di una probabile futura crisi politica, verso le viscide e sterili paludi dell'elettoralismo, e che tutta questa espressione del conflitto diventi linfa per le future beghe elettorali di ciò che rimane della sinistra, perché questa è la fine a cui abbiamo assistito troppe volte negli ultimi tempi, il movimento che sta emergendo sembra avere in nuce assorbito l'ossatura pratico-teorica di nuove forme organizzative autogestionarie all'interno della società reale. Nonostante l'elitarismo e la debolezza politica di buona parte della galassia anarchica incapace di influenzare questi moti spontanei, e di renderla cosciente della sua componente libertaria e di classe, di cui questo movimento sembra raccogliere prassi sedimentate. Nelle parole d'ordine e nelle pratiche che dovranno essere capaci di contrastare, all'interno di ogni paese, la nuova tendenza del capitalismo mondiale, permeata su una sintesi tra liberismo economico e autoritarismo politico, con il modello di sviluppo cinese a fare scuola col suo cocktail di centralismo politico e liberismo economico, e dove sono i grandi investitori finanziari e le banche centrali a determinare le scelte politiche degli Stati.

Infatti l'orientamento delle oligarchie politiche è quello che, all'interno delle mura statali, restringe progressivamente gli spazi democratici concentrando il potere politico, applica politiche antisociali erodendo le risorse prima destinate alle classi più povere, smantella i beni comuni svendendoli al capitale privato. Così come in Italia, dove una classe politica legata alla parte più corrotta e parassitaria del capitalismo, oltre a blindare i privilegi dei faccendieri finanziari e degli evasori plurirecidivi, nel tentativo di riacquistare la fiducia dei partner europei e degli investitori esteri, ma ovviamente incapace di generare scelte che andrebbero contro i loro stessi interessi, partorisce una manovra che colpisce direttamente le classi sociali più povere, una manovra oltretutto depressiva anche dal punto di vista della crescita capitalista perché riduce la capacità di consumo della società.

Una manovra che dà la svolta definitiva alla cancellazione del contratto nazionale del lavoro, che dà via libera alla libertà di licenziamento, all'impossibilità di opporsi, anche per via legislativa, al peggioramento delle condizioni di lavoro e di salario, che taglia le pensioni dei lavoratori e delle lavoratrici e ne innalza l'età di accesso e che in definitiva spazzerà via diritti e tutele conquistati in decenni di lotte operaie.

All'esterno la tendenza neoautoritaria del capitale a livello internazionale, con la lotta per la spartizione delle risorse energetiche ed economiche produce conflitti armati a bassa intensità.

E, in una sorta di perenne riproduzione dell'appropriazione originaria, ne fanno le spese le popolazioni dei paesi più poveri, rapinati delle loro risorse naturali, usati come discarica dei paesi ricchi, privati delle loro libertà decisionali.

E nella ridefinizione delle aree d'influenza, il capitale, nella sua perenne guerra ha trasformato in miti soldati i ceti popolari dei paesi più ricchi, ridottisi a difendere il proprio capitale e quindi la propria borghesia.

In questo scenario è estremamente probabile che in Europa il conflitto tra lavoratori, disoccupati e diseredati da una parte e il capitale e lo Stato dall'altra aumenterà progressivamente, come d'altronde hanno dimostrato non solo il variegato movimento degli "indignati", ma anche le forme meno politiche come la risposta dei senza potere inglesi, al dominio del mercato ed alla mercificazione delle proprie vite, che peraltro valgono sempre meno.

Molto probabilmente questo sarà lo scenario diffuso nell'Europa dei prossimi mesi, ed in particolare in Italia, dove la compressione sociale sta raggiungendo limiti insopportabili.

Dall'altra parte ci immaginiamo già giornalai di corte e sociologi prezzolati ad accorrere in soccorso del potere tanto bistrattato, schiere di politicanti mafiosi e venduti, sindacati complici che hanno scelto di stare dall'altra parte della barricata, ed hanno scelto la criminalizzazione di ogni risposta di classe prima ancora che questa si manifesti.

In questo scenario di ridefinizione dei rapporti sociali a tutto vantaggio del capitale, ogni pratica democratico parlamentare è del tutto insufficiente perché serve a perpetuare il grande inganno. Ogni strada che un tempo si sarebbe detta riformista ci è preclusa. Di fronte ad un capitale ed un potere statale che mai come oggi si fanno così minacciosi servono risposte di lotta a livello territoriale e sui posti di lavoro, serve un fronte unico del sindacalismo conflittuale, che sappia promuovere ed unire la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici su una piattaforma di richieste semplici e chiare in difesa delle libertà sindacali e dei diritti economici. Serve una unione di tutto il sindacalismo conflittuale con un'azione coordinata dal basso, e non spezzettata nei mille rivoli delle rappresentanze verticistiche. Serve un coordinamento tra il sindacalismo conflittuale e i comitati territoriali cittadini che difendono l'ambiente, le periferie e gli spazi liberi dall'aggressione degradante del capitale e un coordinamento con tutte le forme associative territoriali o di categoria anticapitaliste.

Ed è fondamentale inoltre favorire tutti quei coordinamenti anticapitalisti che oltrepassino i confini dei singoli paesi e diano un respiro internazionale all'organizzazione del conflitto.

In questo scenario è fondamentale che si confrontino e si impegnino i militanti anarchici e libertari, a partire dalla definizione delle linee di intervento politico, nel produrre analisi e materiali in un dibattito allargato interno ed esterno all'ambito libertario, ma che sappia individuare nella crescente risposta internazionale alla crisi la necessità della critica anarchica, valorizzandone i contenuti, per arrivare alla partecipazione militante e organizzata nelle lotte del proletariato europeo.

Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

Fano, 25 settembre 2011

giovedì 15 settembre 2011

Siamo tutte con Nina e Marianna!

http://dumbles.noblogs.org/2011/09/13/siamo-tutte-con-nina-e-marianna/#more-1604
Arrestate pernon aver commesso il fatto.
Le due donne NO TAV arrestate venerdì per aver osato avvicinarsi troppo a quel recinto che custodisce un cantiere che non c’è e che ha mera funzione di occupazione militare del territorio e simulazione di lavori in corso al fine di estorcere all’Europa quei quattro euro di finanziamento per le tratte transfrontaliere.
Dunque Nina e Marianna erano lì, a contestare questa enorme vergogna nazionale assieme a tanti/e altri/e NO TAV che in risposta alle loro ragioni, (esposte, argomentate, dimostrate da almeno vent’anni), subiscono costantemente lancio di velenosi (e proibiti in altre parti d’Europa) gas lacrimogeni.

Nina e Marianna sono state le prede di questo giro pesantemente repressivo ordinato da Maroni il quale il giorno prima ha evocato il morto apposta per avere la legittimità a picchiare più forte.
E si badi bene: non si picchia solo col manganello, non si soffoca solo col gas, si viene puniti anche solo per avere con sé strumenti di autodifesa; Nina e Marianna negli zaini avevano maschere antigas, Maalox contro gli effetti dei lacrimogeni, qualche altro oggetto di primo soccorso. Eppure sono state fermate, eppure sono finite in carcere, eppure, anche se incensurate l’arresto è stato convalidato ed anche un giorno prima, tanta è la fretta di dare un segnale di intimidazione.
E’ la dittatura del TAV, perché a questo si arriva quando non si hanno argomentazioni logiche a propria disposizione; si manda l’esercito.
C’era una volta il PD, ai tempi di Prodi, o, per quanto ci riguarda, di Illy e Sonego che raccontavano la storiella che il TAV era necessario per non essere tagliati fuori dall’Europa e amenità varie… ma che mai si sarebbe dovuto imporre con la forza; bisognava dialogare con le popolazioni interessate, confrontarsi, capirsi… Bene, eccoci qua al dunque delle popolazioni interessate che molto pacificamente hanno spiegato che il TAV non lo vogliono. Ed ecco Fassino che invoca l’esercito, ed ecco la squallida figura del deputato PD Esposito a dire che le due donne arrestate “dovrebbero andare a lavorare nel cantiere per capire i valori dello stato democratico”.
Allora il caro Esposito dovrebbe venire lui, assieme, se vuole, agli altri suoi compagni a spiegarci i valori di uno stato che decide di spendere 110 miliardi di euro dei suoi cittadini per un’opera che non ha fruitori né in passeggeri né in merci, mentre sta già spremendo gli stessi suoi cittadini con inique manovre succhiasangue. Vengano a spiegarci perché dovremmo pagare 1200 euro a centimetro un’opera che non ci servirà a nulla; oppure, per convincerci che l’indebitamento nostro e delle generazioni a venire è buona cosa, vengano a dirci a cosa ci servirà.
Noi ancora aspettiamo le risposte di Riccardi e della Serracchiani alla domanda: Cos’è oggi, dal punto di vista progettuale, la tratta AV/AC, del Corridoio 5, Venezia-Trieste?, a cosa serve?
Anzi, oggi, Serracchiani che in febbraio lanciava appelli alle donne per la partecipazione alla manifestazione “Se non ora quando?” in difesa della dignità femminile così svillaneggiata dalla prepotenza del potere, ci dovrebbe dire quanto lei si senta affine a Maroni e alla sua linea repressiva, quanto affine al “compagno” Esposito contro Marianna la pacifista coltivatrice della nonviolenza che lavora per pagarsi gli studi di medicina a Torino, contro Nina madre di tre figli di Chiomonte che davanti al recinto della prepotenza del potere semplicemente rivendicavano la loro libertà di persone in quel territorio, la loro autodeterminazione di donne che non si vogliono ulteriormente penalizzate né economicamente né socialmente.
I nodi vengono al pettine … anche per chi ha i capelli lisci.
NINA E MARIANNA LIBERE SUBITO!

sabato 10 settembre 2011

Le suore, i sindacati ed il brigante

Nella scellerata, inutile e classista manovra del governo italiano del 13 agosto, che porta il numero 138/2011, è previsto all'art. 8 ed emendamenti che un accordo aziendale o territoriale, firmato dalla maggioranza delle rappresentanze sindacali, possa regolamentare alcuni aspetti inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione, tra cui il recesso del rapporto di lavoro, in deroga alle norme di legge e di contratto collettivo.

L'art.18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970), che vieta il licenziamento senza giusta causa e obbliga il datore al reintegro del licenziato, viene dunque aggirato con questo articolo, chiamando direttamente i sindacati a co-licenziare insieme ai datori di lavoro le maestranze in esubero o forse poco produttive e magari troppo sindacalizzate.

Dopo il Collegato Lavoro, l'accordo separato del 29 gennaio e quello unitario del 28 giugno, giunge questo macigno anti-operaio a lastricare la strada della distruzione dei diritti più elementari per i lavoratori italiani.

Il ministro Sacconi, nel difendere questo parto della sua mente, ha dichiarato che i sindacati, a cui viene proposto il licenziamento di un lavoratore, possono fare come quella suora del XVII secolo scampata - unica - ad uno stupro di massa in un convento ad opera di briganti, la quale affermò di essersi salvata grazie al fatto di aver detto semplicemente NO!

Ad oggi, la suora scampata sembra impersonata dalla CGIL e da tutti i sindacati di base che hanno scioperato il 6 settembre, le povere suore violentate sembrano impersonate da CISL, UIL, UGL e co., favorevoli all'art.8, ed infine il brigante violentatore dei sindacati/sorelle sembra impersonato dal ministro stesso! Ma al di là della facezia di pessimo gusto, questo art.8 è un capolavoro di odio di classe.

L'ultima versione dell'art.8 prevede che - fermo restando il rispetto della Costituzione, dei vincoli normativi europei ed internazionali sul lavoro - le intese raggiunte dalla contrattazione aziendale e/o territoriale sono efficaci anche in deroga alle disposizioni di legge ed ai contratti collettivi nazionali di lavoro che regolamentano le materie di contrattazione. Le imprese dunque possono ottenere dai sindacati firmatari degli accordi aziendali il via libera ad adottare nelle loro aziende una regolamentazione diversa dalle norme di legge e dal CCNL vigente.

Quali sono i sindacati che possono firmare un accordo del genere? Sono quelli, sul piano nazionale o territoriale, che risultano essere comparativamente più rappresentativi dalla applicazione dell'accordo del 28 giugno (art.7 in particolare), da cui è bene che la CGIL ritiri la propria firma per coerenza e manifesta dissidenza, vista la sua nefasta applicazione all'interno della manovra governativa.

Il via libera, concesso dai sindacati firmatari alle imprese, è praticabile quando le intese sono finalizzate a

  • maggiore occupazione
  • qualità dei contratti di lavoro
  • emersione del lavoro irregolare
  • incrementi di competitività e salario
  • gestione di crisi aziendali e occupazionali
  • investimenti e avvio di nuove attività
  • adozione di forme di partecipazione dei lavoratori.

Quindi per un fine quale la maggiore occupazione e quindi in caso di nuove assunzioni, o al contrario in caso di crisi occupazionale e di esuberi, l'intesa può prevedere la non applicabilità dell'art.18, oppure una sua applicazione limitata con riconoscimento di un indennizzo al posto del reintegro.

Ma se queste sono le ragioni di tali intese in deroga, quali sono le materie concrete su cui i sindacati firmatari possono esercitare la loro complicità in deroga anti-operaia e concedere il via libera (più elegantemente noto come opting out)?

Si va dagli impianti audiovisivi alle mansioni (inquadramento); dai contratti a termine ed altri contratti flessibili all'orario di lavoro; dalle modalità di assunzione al recesso del rapporto di lavoro. E qui, salvo situazioni legate al matrimonio, alla maternità, ai congedi parentali ed all'adozione o patologie di minori, tutte le altre sono derogabili dall'art.18.

Privati, con gli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, della loro autonoma capacità di rappresentanza e di lotta, i lavoratori vengono ulteriormente consegnati - con questa norma - al totale controllo e potere dei sindacati firmatari di queste intese proni alle scelte delle imprese, nonché all'azione repressiva di queste ultime in caso di reazione operaia di base e dal basso.

Bisogna che le categorie dell'industria della CGIL e le componenti conflittuali al suo interno si sgancino da un lato da questa logica costringendo i vertici a ritirare la firma dall'accordo del 28 giugno e dall'altro diano impulso e difesa a forme di rappresentanza dal basso nei luoghi di lavoro; bisogna che il sindacalismo conflittuale e di base affronti da un lato l'applicazione di questa normativa tutelandosi sul piano dei numeri e dell'unità per non essere definitivamente escluso dalla rappresentanza e dall'altro mantenga una forte presenza di auto-organizzazione all'interno delle aziende; bisogna che tutto il sindacalismo conflittuale, trasversale alle categorie ed alle sigle, lanci una grande battaglia per la disapplicazione degli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, per la disapplicazione dell'art.8 della manovra, per il mantenimento dello Statuto dei Lavoratori e per una nuova e più democratica individuazione della rappresentanza sindacale, che capovolga l'attuale tendenza alla centralizzazione burocratica in atto nel sindacalismo italiano e rilanci una grande stagione di lotta per le rappresentanze consiliari, elette su scheda bianca, titolari della contrattazione aziendale e tutori del rispetto dei contratti nazionali e dei diritti dei lavoratori.

Commissione Sindacale
Federazione dei Comunisti Anarchici

9 settembre 2011