martedì 29 luglio 2008

GLI ULTIMI FUOCHI DI LISBONA

Riceviamo e pubblichiamo questa lucidissima analisi del ns compagno Pier Francesco Zarcone, sulla cosiddetta Europa dei Popoli, che in realtà più che dei popoli è chiaramente l'Europa delle oligarchie e in principal modo dell'oligarchia capitalistico-finanziaria rappresentata dalla BCE.
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Sembra ormai un dato di fatto, in questa fase della storia
europea, non già
l'assenza di singoli conflitti aventi natura sociale, quanto
l'assenza di
conflitti sociali in senso proprio: vale a dire di quei
conflitti che a partire
dalle questioni socio/economiche giungono a investire la
sfera politica,
mettendo in discussione gli assetti sociali globali.
La società dello spettacolo e del marketing, della
deideologizzazione e della
depoliticizzazione (di chi non governa, però),
dell'incertezza e della paura
per il futuro, dell'analfabetizzazione di ritorno,
dell'atomizzazione
individuale, dell'affievolimento del concetto stesso di
solidarietà, della
perdita della speranza (e delle possibilità) di cambiare
il mondo, e così via
- questa società ha cloroformizzato a livelli estesi la
capacità degli
opressi di capire addirittura quali siano i loro veri
interessi.
Eppure vari re sono con tutta
evidenza nudi. Per quanto ci riguarda lo sono il sistema
capitalista - che
palesemente ha dimostrato e dimostra di non essere in grado
a fare fronte a
esigenze sociali anche minime - e le sue superstrutture
locali, come
l'Unione Europea. Eppure è come se sia stata metabolizzata
la propagandata
insostituibilità del capitalismo.
Pur tuttavia per rendersi conto delle negatività che si
stanno impadronendo
dell'Europa non c'è affatto bisogno di collocarsi su
posizioni di sinistra
radicale. Gli elettori irlandesi, per esempio, non l'hanno
fatto, e non ne
avevano bisogno. Basta avere chiaro quali siano i propri
interessi di
cittadini di paesi che, pur dicendosi "democratici" - in
senso liberale -
tradiscono la stessa formula politica su cui si basano e che
li legittimano.
Il problema dell'Unione Europea sta diventando un chiodo
fisso, ma la lingua batte dove il dente duole, anche
perché sotto la copertura
dell'ideologia europeista si stanno massacrando socialmente
i cittadini
lavoratori del continente con conseguenze di lunga durata.
È sempre più
manifesto che si sta costruendo un'Europa del capitale a
tutto danno di chi
il capitale non possiede; ma a rendersere conto sono ancora
in pochissimi.
Questa Europa nasce come creatura politicamente dominata da
classi politiche
antidemocratiche (anche in un'ottica liberale) su mandato
del capitale
industrial/finanziario. Questa classe politica - sia
nazionale sia di
Bruxelles - ha il compito di effettuare una vasta serie di
riforme non solo
smantellando le conquiste dei lavoratori nel trentennio
successivo alla II
Guerra Mondiale, ma di creare una situazione di
peggioramento riportando il
mondo del lavoro in una situazione ancor più grave di
quella che vide il
nascere dei movimenti di riscossa di coloro che vivono solo
potendo dare in
affitto la propria forza-lavoro (un tempo si usava a
profusione il giusto
termine di "proletariato"). La riforma, in corso di
approvazione da parte
del parlamento italiano, che scippa incostituzionalmente ai
precari il diritto
a una giusta sentenza, e che non pare che in questa calda
estate del 2008
stia sensibilizzando più di tanto la popolazione dello
stivale, non è solo una
chicca nazionale.
A Bruxelles di recente è stata varata una direttiva
europea che consente di
elevare in maniera terribile l'orario di lavoro, tanto che
(addirittura)
alcuni industriali portoghesi l'hanno considerata
controproducente ai fini
della produttività per lo "stress" accumulato dai
lavoratori!
Se già gli eletti nei parlamenti borghesi non sono legati
ai loro elettori da
"mandato imperativo", figuriamoci i burocrati di Bruxelles,
che nemmeno
sono stati eletti. Sia i parlamentari nazionali sia i
burocrati delle
istituzioni europee hanno una paura folle della
manifestazione di volontà dei
loro cittadini - tant'è che finora solo l'Irlanda ha
sottoposto a
referendum il Trattato di Lisbona (che sostituisce
l'abortita Costituzione
Europea). Ora, questo frutto di riservate scrivanie, deve
avere
l'approvazione di tutti gli Stati-membri per potere entrare
in vigore. Per
cui il negativo
risultato irlandese dovrebbe portare ad elaborare un nuovo
testo. Manco a parlarne. Sintomaticamente, la conseguenza
è diversa, e di una
vomitevole ipocrisia: poiché la necessaria unanimità non
si è realizzata per
colpa degli spregevoli irlandesi, che non hanno il senso
della storia, si dovrà
rifare il referendum. Sarkozy ha fatto chiaramente
intendere, e il nostro
Presidente della Camera dei Deputati, il camerata Gianfranco
Fini (il
cui naso storto è l'indelebile ricordo di una cazzotto
sferratogli da un compagno) ha avuto l'improntitudine di
dichiarare
che della questione del Trattato di Lisbona si devono
occupare i parlamenti nazionali, in quanto ... espressione
dei popoli! Se
in Irlanda si ripeterà il referendum, e se dovessero
vincere i "no", sarà
amaremente divertente vedere cosa inventeranno i
"democratici" politicanti
del continente.
Ma in Europa, oltre a lavorare per ridurre i lavoratori a
prestatori d'opera
senza tutela, abbandonati al "buon cuore" del padrone, già
da tempo ci si
si è affannati, e ci si affanna ancora, per creare e/o
rafforzare situazioni di
subalternità di interi paesi agli interessi economici (e
conseguentemente
politici) dei centri capitalisti e imperialisti europei. La
disintegrazione della ex Jugoslavia (non ancora terminata)
rientra in
questa logica. Aver fomentato i nazionalismi sloveno,
croato,
montenegrino e albanese - con il parallelo rafforzamento di
quello
serbo - ha sicuramente impedito che la Jugoslavia potesse
eventualmente diventare il polo di attrazione per la
formazione di un
mercato comune balcânico, con cui quello europeo avrebbe
dovuto fare i conti, economicamente e politicamente. Oggi invece esiste
una varietà
di borghesie balcaniche parassitarie e mafiose.
Le cose sono andate in modo molto più "soft" in un'altra
grande penisola
europea: quella iberica. E questo è avvenuto con gli
ingressi di Portogallo e
Spagna. Questa operazione richiedeva che gli interessi
spagnoli (già
all'epoca la Spagna era l'ottava potenza industriale a
livello mondiale)
fossero tutelati a spese di quelli portoghesi, non
supportati da una borghesia
forte come quella ispanica. Ragion per cui, il Portogallo ha
pagato il suo
biglietto di ingresso abbandonando al capitale spagnolo
quattro settori
socio/economici: il mercato agricolo, quello del lavoro,
quello della finanza e
quello immobiliare. Di modo che l'agricoltura portoghese non
doveva essere
messa in condizione di fare concorrenza a quella spagnola,
la cui produzione ha
logicamente invaso il mercato lusitano; le imprese spagnole
che si sarebbero
installate in Portogallo dovevano trovarvi una forza-lavoro
a basso costo; le
banche spagnole dovevano poter mettere le mani su quelle
portoghesi, altrimenti
incapaci di resistere da sole; e il settore immobiliare
doveva essere aperto a
una sfrenata speculazione, tanto che oggi la crisi di questo
settore è
maggiore in Portogallo che non in Spagna (dove già è
forte). Dulcis in fundo
si potrebbe ricordare l'endemico fenomeno estivo degli
incendi forestali in
Portogallo. Molti agricoltori furono convinti e incentivati
a installare nei
propri terreni alberi, e soprattutto eucalipti (che rovinano
il terreno) con la
prospettiva dei guadagni con la vendita del legname e della
pasta di legno alle
grandi industrie nordeuropee. I periodici incendi dolosi non
distruggono la
pasta de madeira, ma ne riducono abbondantemente il prezzo
di vendita. Nel
1976, Mario Soares, che una certa "sinistra" considera
ancora
positivamente, ebbe la faccia tosta di sostenere che il
Portogallo, nazione in
cammino verso il socialismo, era interessato a entrare nella
CEE per
trasformare l'Europa dei trusts in "Europa dei lavoratori"!
La politica monetaria, la cui incidenza su quella economica
in senso lato è di
tutta evidenza, viene ormai gestita da altri burocrati
specializzati: quelli
della Banca Centrale Europea, indipendenti da tutto e tutti.
A essere molto
meno indipendenti, invece, dovrebbero essere i giudici della
Corte di Giustizia
Europea, per come è prevista dal Trattato di Lisbona: essi
infatti verrebbero
nominati ... "di comune accordo dai governi degli Stati
membri"! Alla
faccia dell'indipendenza del potere giudiziario, sancito
dalla Costituzione
Italiana. Per inciso, di questo specifico problema, e del
più generale
contrasto fra Trattato di Lisbona e Costituzione Italiana
(per esempio in
merito al ripudio della guerra) non ritiene di occuparsene
il "compagno"
Napolitano.
In buona sostanza, a mano a mano che le istituzioni europee
continuano a
lavorare, e a rafforzarsi, estendendo la sfera della riforma
negativa
dell'economia e della società, i cittadini europei si
troveranno governati
da una ristretta cerchia internazionale - intenzionata a
introdurre
massicciamente il devastante modello statunitense - che si
comporteranno come
i signori incontrollati di una moderna confederazione
repubblicana
aristocratica. I cruciali eventi della moderna storia
europea, dalla
Rivoluzione francese in poi, diventeranno cose da museo, o
peggio, da
immondezzaio della storia?
Quello che accadrà in Irlanda lo vedremo. Ma a parte ciò
resta il fatto che
l'anno prossimo ci saranno le elezioni per il parlamento
europeo. Non è
azzardato ritenere che i partiti della sinistra ormai
extraparlamentare (ma
ancora non se ne sono accorti) cercheranno una specie di
rivincita rispetto
alle elezioni politiche nazionali, punteranno a sistemare
loro esponenti nei
ben pagati scranni bruxellesi, guardandosi certo bene dal
concretizzare posizioni antieuropee che potrebbero apparire
"politicamente scorrette".
Le prossime scadenze elettorali europee potranno invece
essere
occasione di una campagna di (contro)informazione semplice e
chiara su
quello che
questa Europa - non dei popoli, ma del capitale e dei suoi
burocrati -
significa per i cittadini lavoratori, che in buona parte
hanno dimenticato di
essere sia cittadini, sia lavoratori. In quel bellisimo film
anarchico che è
"V Vendetta", a un certo punto il protagonista asserisce
l'opportunità
di fare in modo che finalmente siano i governi ad avere
paura dei loro
cittadini. Si concretizzerà mai questa speranza?


Il carattere antidemocratico dell'UE è per noi evidente, ma la maggior parte
dei cittadini italiani non lo sa, o non lo comprende. E non parlo soltanto di
quanti si sono chiusi nella triade (oggi sempre più difficile da concretizzare
nel suo secondo stadio) "nascere-consumare-crepare". Mi riferisco anche ai
mediamente acculturati. Infatti, quanti sono al corrente della vasta gamma di
potere in mano alla Commissione europea, e della scarsità di quelli di cui è
titolare il Parlamento europeo? Quanti si rendono conto che la politica
economica la fa la Banca europea, e non i governi? Quanti - tra le ricorrenti
lamentele da prefiche sull'aumento dei prezzi - sanno che un controllo
impositivo da parte dei governi nazionali non è possibile, a meno di incorrere
nell'accusa di interferenza sul "libero" mercato (il moderno "vitello d'oro"?
E quanti sanno che questo deficit di democrazia data dagli inizi della
costruzione europea? Nel cinquantenario del Trattato di Roma, la ex
dattilografa Marie-Helene Von Mach ha rivelato alla BBC che in realtà, per
ragioni d'urgenza - dovute alla prossima ascesa al potere di De Gaulle, noto
per le sue posizioni sull'Europa - il 25 marzo del 1957 fu firmato un
Trattato ... con le pagine ancora bianche! (Cfr. la pagina web
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/6483585.stm). Il testo è stato scritto dopo.
Da che mondo è mondo il potere delle oligarchie nasce e si basa sul ritenere
che esso sia di vantaggio alla collettività. Oggi, uno dei nemici primari è
l'Europa di Maastricht. È contro di essa che ci si deve muovere.
Saluti libertari a tutte e tutti.


Pier Francesco Zarcone

Federazione dei Comunisti Anarchici

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