martedì 16 marzo 2010

Recessione globale, ma non per il commercio delle armi

Anche in tempi di profonda crisi economica globale, c'è almeno un settore che non conosce recessioni o periodi di decrescita. Potrebbe essere una buona notizia, se non fosse che il settore in questione è l'industria bellica e degli armamenti.

Proprio mentre si discute e si propongono nuovi accordi tra le potenze per la riduzione degli arsenali nucleari, aumentano senza sosta la produzione e la venditadi armi "convenzionali". Un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha infatti rivelato che il volume medio dei traffici - leciti - di armi è aumentato del 22 per cento negli ultimi cinque anni, rispetto al quinquennio precedente.

Il rapporto del centro di ricerca svedese non fornisce dati sulle cifre, costi e ricavi, del commercio di armi, dal momento che molti governi rifiutano di pubblicare le spese del settore. In realtà, i freddi numeri e le percentuali dicono molto, illustrano soprattutto la corsa agli armamenti in alcune aree del pianeta, e dunque descrivono l'assoluta mancanza di controllo sui conflitti, latenti e manifesti.

I rapporti politici tra le nazioni si giocano anche sul sempre fiorente mercato bellico. Anche nel periodo 2005-2009, è il continente asiatico il maggiore importatore diarmi, con una quota del 41 per cento. Cina e India sono naturalmente i principali acquirenti di armi, munizioni e equipaggiamenti militari, non solo in Asia, ma globalmente. Tuttavia i due paesi hanno ridotto le proprie spese nel settore, rispettivamente del 20 e del 7 per cento.

Nell'area del sud-est si registrano invece altissimi aumenti nelle importazioni di armi. L'Indonesia le ha aumentate di oltre l'80 per cento, Singapore del 150 per cento. La Malaysia addirittura del 722 percento negli ultimi cinque anni. Trent'anni dopo la fine della guerra del Vietnam, Singapore è il primo paese della regione ad entrare nella "top ten" degli importatori di armi. E' evidente che la sola concorrenza, improponibile, con la Cina non può giustificare investimenti così cospicui.

Il rischio concreto è che la corsa agli armamenti destabilizzi la regione, dove la competizione sembra giocarsi ormai sugli arsenali e non sui mercati finanziari come negli anni novanta. Oltre alle due superpotenze asiatiche, i maggiori compratori sono la Corea del Sud, gli Emirati Arabi e la Grecia. I conflitti e le tensioni delle rispettive regioni spiegano in parte gli acquisti di Seul e Abu Dhabi.

Invece è sorprendente che la Grecia, paese devastato dalla crisi economica, continui ad essere il primo importatore europeo, soprattutto di aerei da guerra. L'Europa acquista quasi un quarto delle armi convenzionali, ma sono europei sette dei primi otto venditori. Stati Uniti e Russia si dividono oltre la metà del mercato mondiale; la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l'Italia e la Spagna si spartiscono il resto. La neutrale Svezia ne vende quanto la Cina.

Poco da dire sul Medio Oriente. La costante condizione di guerra nell'area fa sì che l'area abbia assorbito il 17 per cento del commercio di armi. I paesi della penisola arabica acquistano soprattutto dagli Stati Uniti e dall'Europa, mentre l'Iran compra in Russia. Le importazioni iraniane, tuttavia, si sono mantenute molto basse anche nel 2009, a causa dell'embargo imposto dall'Onu alla Repubblica Islamica. Che è addirittura ventinovesima nella speciale classifica di chi compra armi dall'estero. Israele è sesto.

E' invece interessante quanto accade in Sudamerica. Continente che acquista meno del dieci per cento degli armamenti mondiali. La quota non sembrerebbe altissima, ma in realtà testimonia le tensioni del continente. Rispetto al 2004, infatti, le importazioni belliche sono aumentate del 150 per cento, sintomo evidente di una pericolosa corsa agli armamenti. Il Venezuela ha ricevuto oltre due miliardi di dollari in credito dalla Russia per acquistare sistemi di difesa aerea e mezzi militari blindati. La Germania, il cui export nel settore è aumentato del 100 percento, soprattutto con la vendita di carri armati e altri mezzi corazzati, fa ottimi affari con Brasile e Cile.

Infine, l'Africa. Ultimo continente anche nelle spese militari, con il 7 per cento. Ma in questo caso i numeri non dicono tutta la verità. Quote anche limitate di mercato, infatti, nell'Africa sub-sahariana hanno effetti decisivi sulle dinamiche delle crisi e dei conflitti regionali. Paesi dell'est europeo, Russia, Bielorussia e Ucraina in primis, hanno venduto armi a paesi fortemente instabili, come il Sudan eil Ciad, influendo irrimediabilmente sulle guerre locali. Inoltre su dieci embarghi Onu vigenti nel 2009, sette riguardano proprio paesi africani, dalla Costa d'Avorio alla Repubblica Democratica del Congo, dalla Somalia all'Eritrea, restrizioni spesso violate. Ma il rapporto, ricordiamolo, si limita a presentare le quote, talvolta solo stimate, del commercio "legale" delle armi, che non risente della crisi. Figurarsi il traffico illecito e criminale.

PeaceReporter

Nessun commento: