Hiroshima,
68
anni fa: per non dimenticare
In
queste giornate afose rischiano di
cadere in silenzio due date che rievocano un’immane tragedia per
l’umanità. Mi
riferisco al 6 e al 9 agosto 1945, quando gli americani sganciarono le
bombe
atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Solo nei mesi immediatamente
successivi alla
deflagrazione i morti furono oltre 200 mila. Secondo stime attendibili,
fino ad
oggi le vittime accertate sarebbero oltre 350 mila, in seguito
soprattutto alle
affezioni tumorali provocate dalle micidiali radiazioni termonucleari.
Quelle
dell’agosto 1945 sono state le
uniche volte in cui furono impiegate armi nucleari in un conflitto
bellico
contro popolazioni civili, sterminando intere generazioni e
annichilendo intere
città. Bisogna ricordare che la paternità storica di tali crimini
contro
l’umanità, rimasti tuttavia impuniti, va ascritta agli Stati Uniti
d’America,
che non hanno esitato un momento ad usare armi di distruzione di massa
per
vincere la guerra.
In
particolare occorre riflettere
sulla seconda bomba, sganciata su Nagasaki. Secondo vari storici si è
trattato
di un atto terroristico evitabile, eppure è stato ugualmente eseguito
per due
ragioni fondamentali. La prima, più che altro un alibi
tecnico-scientifico, era
che la bomba su Nagasaki, essendo composta di plutonio e non di uranio
arricchito come quella su Hiroshima, aveva bisogno di essere
sperimentata, ma
un simile ragionamento è semplicemente cinico. Il secondo motivo era di
ordine
strategico, in quanto la seconda bomba era inutile per vincere la
guerra contro
il Giappone, un paese già stremato, ridotto alla mercé dei vincitori,
per cui
apparve subito evidente il vero scopo della seconda esplosione, vale a
dire un
atto scellerato in funzione antisovietica.
In
tal senso le bombe lanciate su
Hiroshima e Nagasaki, le ultime della seconda guerra mondiale, furono
anche le prime
della “guerra fredda”. Insomma, fu un chiaro segnale
intimidatorio teso
a far capire ai sovietici ed al mondo intero chi erano i nuovi padroni.
Negli
anni successivi al 1945 le armi
atomiche furono adottate dalle principali potenze: l’URSS la ottenne
nel 1949
grazie alla decisione di alcuni scienziati che avevano concorso alla
creazione
della bomba H per il governo nordamericano, per ristabilire un
equilibrio tra
le parti avverse, la Gran Bretagna nel 1952, la Francia nel 1960, la
Cina nel
1964.
In
questo periodo, segnato da una
prima proliferazione degli arsenali atomici, sorse un clima di “guerra
fredda” nel quale i due blocchi politico-militari (la NATO, ancora
esistente e il Patto di Varsavia, che ruotava attorno all’Unione
Sovietica)
erano coscienti di annientarsi vicendevolmente con il solo impiego
delle armi
atomiche. Era la teoria della “distruzione mutua assicurata”
alla base
del cosiddetto “equilibrio del terrore”, la strategia della
deterrenza
che, in qualche occasione, ha scongiurato il rischio catastrofico di un
conflitto termonucleare totale. Tale “equilibrio”, ancorché
fosse un
utile deterrente sul piano strategico, tuttavia non impedì un’enorme
proliferazione degli arsenali atomici sia ad Ovest che ad Est. Al
contrario, le
armi nucleari divennero più numerose, ma soprattutto più sofisticate,
quindi
più potenti, al punto che confrontate con quelle successive le bombe
gettate su
Hiroshima e Nagasaki parevano “giocattoli”.
Gli
arsenali atomici a disposizione
dei due blocchi (Est ed Ovest: nemici sulla carta, ma in realtà
complici
rispetto alla spartizione economica, politica e militare del globo)
erano
potenzialmente in grado di disintegrare il pianeta, non una, ma decine
di
volte.
Nel
corso degli anni ‘80 il dialogo
tra Reagan e Gorbaciov condusse alla stipulazione dei trattati START I
e START
II che sancivano una graduale riduzione degli armamenti atomici
posseduti dalle
due superpotenze. In quegli anni, esattamente nel 1985, uscì un film
intitolato
“War games” (tradotto in italiano “Giochi di guerra”)
che narra
la storia di un ragazzo di Seattle che, giocando col computer, riesce
ad
inserirsi nella rete informatica della difesa nucleare statunitense
provocando,
nella finzione cinematografica, il rischio di un conflitto
termonucleare, poi
scongiurato. Cito il film per evidenziare come in quegli anni la
percezione dei
pericoli di un conflitto atomico che avrebbe potuto causare
l’autodistruzione
del genere umano, era maggiore di oggi.
Eppure,
la situazione odierna è ben
più pericolosa di quella descritta relativamente al periodo della “guerra
fredda”. Attualmente, gli Stati che dichiarano di possedere armi
nucleari e
fanno ufficialmente parte del cosiddetto “Club dell’atomo” sono
esattamente otto: Stati Uniti d’America, Russia, Cina, Regno Unito,
Francia,
India, Pakistan e Israele.
Inoltre
la possibilità, non solo
teorica, che alcune armi atomiche come le cosiddette “bombe
sporche” (che
non costano come le armi atomiche e non esigono particolari competenze
scientifiche, se non quelle, ormai diffuse, che servono a costruire una
bomba
tradizionale) possano cadere nelle mani di gruppi terroristici al soldo
dei
servizi segreti delle varie potenze (USA ed Israele sono in cima alla
lista per
la loro spregiudicatezza) può fornire una vaga idea della elevata
pericolosità
dell’odierna situazione internazionale, segnata da tensioni aggravate
dalla
politica della “guerra globale preventiva” che di fatto
alimenta le
spinte oltranziste in ogni angolo del mondo.
L’odierna
situazione planetaria è dunque
più insidiosa del passato, soprattutto dopo il crollo del muro di
Berlino del
1989 e il disfacimento dell’Unione Sovietica, ma soprattutto dopo l’11
settembre 2001, quando sono state rilanciate la ricerca e la produzione
di
nuove generazioni di bombe nucleari, molto più piccole e facili da
utilizzare.
Nonostante ciò, la consapevolezza del pericolo rappresentato dagli
arsenali
atomici da parte dell’opinione pubblica mondiale, è ad un livello più
basso
rispetto agli anni della “guerra fredda”, un periodo in cui
l’equilibrio
tra le superpotenze esercitava un effetto deterrente. Oggi
quell’equilibrio non
esiste più ed è rimasto solo il “terrore”.
Anzi,
la situazione odierna è
profondamente instabile e gli USA non sono in grado di gestirla da soli
attraverso un ruolo di gendarmeria planetaria che si sono
auto-attribuiti con
la consueta arroganza che li ha condotti in uno stato di isolamento.
Oggi
assistiamo ad un insidioso rilancio della ricerca nucleare per fini
militari,
che vede un coinvolgimento crescente anche dell’Italia. Si pensi che
all’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) e nella base americana di
Aviano sono
già pronte almeno 90 testate nucleari.
Per
capire l’estrema pericolosità
derivante dall’odierno scenario internazionale, ricordo un episodio del
2002,
quando India e Pakistan (che già nel 1998 avevano condotto alcuni test
nucleari) si trovarono sull’orlo di un conflitto per il controllo del
Kashmir,
un territorio al confine tra i due Stati, famoso per un tessuto morbido
e
leggero di lana omonima ricavata da una particolare razza di capre che
vive
solo in quella regione. Si trattò di una pericolosa contesa politica
che
avrebbe potuto degenerare apertamente e facilmente in uno scontro
bellico, con
un eventuale ricorso ad armamenti termonucleari.
Oggi
esistono alcune micro potenze
regionali, quali la stessa Israele, che detengono arsenali atomici
micidiali e
assumono atteggiamenti ostili e belligeranti verso gli Stati
confinanti. E
nessuno osa denunciare la situazione. Anzi, chi si azzarda è tacciato
di “antisemitismo”.
Naturalmente sarebbe ipocrita non riconoscere che la più grave minaccia
proviene da quelle superpotenze mondiali come Usa, Cina e Russia che
mirano ad
una nuova spartizione geopolitica ed economica del mondo ed agiscono in
modo
espansionistico sul terreno commerciale, entrando spesso in contrasto
tra loro.
Si pensi alla competizione tra Usa, Cina ed Europa o alla guerra
monetaria tra
l’euro e il dollaro.
Certo,
dal ‘45 ad oggi le guerre
finora combattute e quelle in corso non hanno mai registrato il ricorso
ad armi
atomiche, ma solo a quelle convenzionali. Finora ho fornito una
ricostruzione
storica in materia di armi nucleari, provando ad evidenziare un
confronto tra
gli anni della “guerra fredda” e la realtà odierna che è assai
più
insidiosa, benché la coscienza della gente sia meno diffusa e profonda
rispetto
al passato. A tale proposito mi sembra utile citare un brano tratto da
un
articolo di Giorgio Bocca (apparso diversi anni fa nella rubrica “L’antitaliano”),
nel
quale l’anziano giornalista scriveva testualmente: “Già nel 1945
avremmo
dovuto capire che l’apocalisse era ormai entrata nella normalità.
Scoppia la
prima atomica a Hiroshima e sui giornali dell’Occidente, anche sui
nostri, la
notizia venne data a una colonna in basso e non destò particolare
emozione.
Aveva ucciso in un colpo 100 mila persone e ne aveva avvelenate a morte
altrettante. Non se ne sapeva molto, è vero, ma in breve si capì che
era l’arma
della distruzione totale, ma l’Occidente civile in sostanza non fece
obiezione:
la bomba segnava in pratica la fine della guerra, perché condannarla?”.
In
altri termini, il fine (ossia la conclusione della seconda guerra
mondiale) ha
giustificato il mezzo, ovvero il ricorso alla bomba H, vale a dire ad
un
terrificante strumento di distruzione di massa.
Oggi,
più che in passato, la bieca
logica machiavellica del “fine che giustifica i mezzi” non può
e non
deve essere tollerata, ma va respinta con fermezza ed in modo
definitivo, pena
l’annientamento dell’umanità e di quasi ogni forma di vita sul nostro
pianeta.
Le
cause delle guerre, siano esse
convenzionali o meno, sono fondamentalmente le stesse: il possesso e il
controllo della terra, dell’acqua, del petrolio o di altre preziose
materie
prime, lo sfruttamento dell’uomo e della natura, l’oppressione di un
popolo da
parte di un altro popolo, vale a dire di una classe sociale da parte di
un’altra classe.
Queste
sono le ragioni primarie che
possono scatenare un conflitto bellico. Il fatto poi che alla guerra
condotta
con armi convenzionali si sostituisca la guerra “termonucleare”,
non
cambia e non toglie assolutamente nulla alle cause, al carattere e al
significato di classe della guerra medesima. Tuttavia, è evidente che
la
differenza tra guerre tradizionali e guerra nucleare sta nel fatto che
le armi
atomiche sono strumenti di distruzione totale: un “dettaglio”
non certo
trascurabile, che non va sottovalutato.
Lucio
Garofalo