sabato 29 dicembre 2012

In Egitto come in Francia, dicialo no al fascismo!


In un contesto di crisi capitalista, le rivolte popolari si stanno espandendo da diversi anni. In Egitto, la rivolta aveva assunto una dimensione rivoluzionaria con la cacciata di Mubarak. Ma è stata ostacolata fin dall'inizio dalla dinamica contro-rivoluzionaria del fascismo religioso. 

I Fratelli Musulmani, dopo essersi tenuti attentamente alla larga dalla rivolta popolare, una rivolta che essi non avevano iniziato, sono stati chiamati a fare da ruota di scorta dalla borghesia egiziana insieme a tutta la borghesia occidentale.

Giocando il ruolo storico che le correnti fasciste – indipendentemente dal fattore religioso – hanno sempre svolto, i Fratelli Musulmani hanno assunto una posizione pseudo-rivoluzionaria per ottenere l'accesso al potere politico, diventando così lo strumento reale della riscossa controrivoluzionaria.

In Egitto, i Fratelli Musulmani, storicamente sostenuti dall'imperialismo britannico per controbilanciare il movimento indipendentista ed il movimento operaio, si sono organizzati sulla base di un'ideologia che è stata definita da Sayyid Qutd - come senza dubbio ideologia fascista-religiosa. Come i fascisti in Francia ed in qualunque altra parte del mondo, i Fratelli Musulmani portano avanti una cosiddetta dimensione "sociale" mentre nello stesso tempo si oppongono con la violenza alle lotte dei lavoratori, sviluppando una visione razzista ed anti-semita del mondo,  per guidare una "rivoluzione" nazional-religiosa.

Al pari dei fascisti francesi che difendono un "capitalismo nazionale", i Fratelli Musulmani sostengono un "capitalismo musulmano" che non è altro che la formula ideologica degli interessi della borghesia egiziana.

Le prime misure prese da Morsi, sotto l'infuenza dei Fratelli Musulmani, sono state dirette contro il movimento dei lavoratori. Possiamo ricordarne alcuni esempi: la messa al bando degli scioperi, la criminalizzazione degli attivisti sindacali, e la volontà di mettere sotto controllo i sindacati operai, pienamente in linea con i desiderata del sindacalismo fascista verticistico e corporativo. Ma ci sono state anche misure contro le donne e contro le minoranze religiose.

Dopo essersi alleati con la giunta militare dello SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate, ndt), i Fratelli Musulmani sono emersi come i rappresentanti più efficienti della borghesia egiziana. 

Ora, stanno cercando di instaurare un regime fascista-religioso tramite un "atto di forza". Stanno cercando di giustificare tale atto dicendo che il loro scopo è quello di liquidare il vecchio apparato statale di Mubarak, mentre ne tengono la gran parte in piedi - fatta eccezione per pochi subalterni portati in processi solo di nome.

In realtà questo atto-di-forza punta a liquidare le lotte dei lavoratori come dimostrato dal giro di vite imposto agli scioperanti ed agli attivisti sindacali per la lotta di classe. Tra le vittime di questo giro di vite ci sono 3 compagni, militanti del Movimento Solidarietà Libertaria egiziano:  Mohamed Serag El-Din, Mohamed Ezz ed Ali El-Kastawy.

Per giustificare questo atto-di-forza, si cerca di nascondere tutto sotto una impiallacciatura democratica facendo ricorso ad un referendum organizzato in circostanze sospette. 

La Coordination des Groupes Anarchiste esprime la sua solidarietà alle donne egiziane ed alla classe lavoratrice affinchè insorga nuovamente, questa volta contro il fascismo religioso. Affermiamo in particolare il nostro appoggio ai compagni anarchici egiziani che lottano per l'alternativa anarchica, nel cuore della rivolta popolare, come un muro contro l'autoritarismo militare e fascista.

In Egitto come in Francia, il fascismo è una cancrena: se non lo sradichiamo, finirà con l'ucciderci!

28 Dicembre 2012

Coordination des Groupes Anarchistes

 (traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)

sabato 15 dicembre 2012

Accanto ai lavoratori delI'Ilva, che non cedono il loro diritto alla salute

Accanto ai cittadini di Taranto, che rivedicano il loro diritto a lavorare  per vivere, non per morire.
Taranto è l'emblema del fallimento della classe imprenditoriale italiana che ha cercato di galleggiare sulla crisi riducendo i costi del lavoro e delle tutele ambientali, invece che investire per ammodernare impianti e tecnologie, contando sulla scontata complicità di uno dello Stato.

Taranto è l'emblema del fallimento  di una classe politica nazionale, incapace di occuparsi del paese reale da sempre, incapace di ogni politica industriale e di ogni parvenza di pianificazione e indirizzo della cosa pubblica, pronta a favorire padroni e padroncini, ed è l’emblema di una classe politica locale preoccupata nella migliore delle ipotesi  delle proprie compatibilità.

Taranto è l'emblema il simbolo del fallimento della scelta legalitaria, del pensare che le leggi bastino a se stesse, anche se non ci sono rapporti di forze utili a farle rispettare.

Taranto  è l'emblema dell'impossibilità di sopravvivere al presente, anche da parte dei lavoratori e dei sindacati, se non si riesce a immaginare un futuro diverso.

E da Taranto bisogna ripartire.

Quello che si farà all'ILVA di Taranto dipende da quanto i lavoratori dell'ILVA riusciranno a imporre la loro presenza, la loro competenza, la loro conoscenza dei cicli produttivi nelle scelte di bonifica e di messa in sicurezza  degli impianti, la loro partecipazione al percorso decisionale e di controllo. Da quanto in questo saranno capaci di coinvolgere i loro compagni dell'ILVA nel resto d'Italia, perché se a Taranto si muore di lavoro non è che in Liguria si festeggi. E dall'infame e scontato  ricatto padronale bisogna uscire, tutti insieme. E se, o visto che, alcuni sindacati questo non riescono proprio a capirlo, solo i lavoratori possono farglielo capire.

E  se fosse che quello che si farà oggi all'ILVA di Taranto non diminuirà i morti per i prossimi dieci anni,  quello che i cittadini di Taranto  riusciranno a fare per modificare le politiche sanitarie regionali potrà forse farlo.  Visto che si muore di più, a Taranto, se si abita a Tamburi, in un quartiere popolare, e  non si può andare a farsi curare al nord. Altro che tagli alle spese regionali per la sanità! Perchè se oggi si sa quello che succede a causa dell'ILVA di Taranto, e di tante altre realtà produttive che producono sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici, e delle loro famiglie, a Taranto come a Priolo, come anni fa a Bagnoli e all'Acna di Cengio, è grazie a chi ha denunciato e denuncia, e a chi raccoglie queste denunce di base. Perché ora sono i numeri a dire che se si è poveri si muore di più, perché si è curati di meno, o si curati peggio.

E perché se un futuro diverso è possibile, va costruito insieme. Perché a Taranto si lavori per vivere, all'ILVA come altrove, e non per morire.

Federazione dei Comunisti Anarchici - Puglia

venerdì 30 novembre 2012

SIAMO TUTT* NO TAV, NON CI FERMERETE MAI!











Il 29 Novembre alle 7 di mattina, la Digos ha bussato alla porta di
Damiano, da anni attivista e occupante del CSOA Forte Prenestino,
perquisendo l'abitazione e notificandogli gli arresti domiciliari.

Nelle stesse ore il presidio di Chiomonte, in Val di Susa, viene
sgomberato e sigillato, ed altre 18 persone, a Torino e in Valle,
vengono raggiunte da misure restrittive e provvedimenti cautelari.

Questa operazione scatta a pochi giorni dal vertice italo-francese su
TAV del 3 dicembre, contro il quale il movimento NO TAV ha indetto una
mobilitazione internazionale.

Dopo le sentenze di Genova e le condanne per devastazione e
saccheggio, gli arresti per il 15 ottobre e i pestaggi indiscriminati
degli studenti, è di nuovo la volta de* NO TAV.

L'intento è chiaro: colpire chi partecipa in prima persona alle
lotte, criminalizzare un intero e variegato movimento, creare un clima
di tensione in occasione delle prossime mobilitazioni.

Indipendentemente dalle modalità messe in campo, a suon di musica o
dietro uno scudo, a volto scoperto o protetti da un casco, ogni forma
di dissenso diventa un problema di ordine pubblico, mentre le ragioni
delle lotte restano oscurate.

Non lasceremo vincere questa strategia, continuiamo a scendere in
piazza nelle nostre città, torniamo ancora più numerosi in Valle:

le ragioni NO TAV non si arrestano!

Fuori le truppe di occupazione dalla Val di Susa.

Liber* Tutt*

CSOA Forte Prenestino

martedì 20 novembre 2012

QUANTO VALE OGNI BOMBA SU GAZA?


Ci sono un  sacco di ragioni dietro l’ennesimo criminale bombardamento a Gaza.
C’è il tentativo di impedire il riconoscimento, sia pure come osservatore, della Palestina da parte delle Nazioni Unite. E di mettere alla prova un alleato americano sulla cui lealtà indiscussa si poteva forse nutrire qualche dubbio. E invece ancora una volta anche dai governi europei siamo al blando rimprovero per la  reazione "esagerata" ma "legittima" dello Stato israeliano.
Ci sono le elezioni in Israele, scadenza nefasta per gli abitanti di Gaza,  usati ancora una volta  come bersaglio a scopo propagandistico.
C’è la tentazione di alzare il livello dello scontro per mettere alla prova i nuovi regimi  mediorientali, e il generale assetto dell’area, in cui stenta ad emergere una potenza regionale. Mentre d’altra parte i riflettori puntati su Gaza potrebbero permettere al governo siriano l’offensiva decisiva contro i ribelli…..
Nessuna di queste ragioni vale lo scempio che ancora una volta si sta compiendo sulla pelle di una popolazione di circa un milione e mezzo di abitanti di cui la metà è composta da minori, sotto embargo  e  priva la stessa anche dei medicinali e dei beni di prima necessità. I militari israeliani si scaricano la coscienza con proclami alla popolazione palestinese, avvertendoli, prima dei bombardamenti, di allontanarsi dai luoghi di Hamas. Una tragica beffa visto  che la striscia di Gaza è  una delle regioni più densamente abitate del mondo.
Intanto lo Stato di Israele non ha mai smesso la sua strategia di controllo militare e vitale su Gaza e continua ad occupare militarmente territori, proteggendo e favorendo l’espansione delle colonie israeliane che si allargano giorno per giorno sulla terra dei palestinesi. Innalza muri che rinchiudono villaggi interi, che sradica uliveti e uccide gli animali dei pastori imponendo miseria e umiliazione. Mortifica e tormenta quotidianamente chi tenta di passare da una parte all'altra dei muri della segregazione per lavorare, curarsi, andare a scuola. E viola sistematicamente le pur ipocrite e impotenti innumerevoli risoluzioni dell'ONU. E se la Cisgiordania è il vero terreno di conquista, metro dopo metro, casa dopo casa, Gaza continua il suo destino di vittima sacrificabile.
E oggi, come 3 anni fa, di nuovo sulla popolazione palestinese si scatenano i nuvoloni neri della guerra impari alimentata dallo Stato israeliano, e l’unica concreta speranza che la popolazione già provata dall’embargo possa riacquistare velocemente un minimo di pace è che gli avvoltoi di ogni risma, che si accalcano fisicamente e idealmente ai suoi confini, raggiungano un nuovo precario equilibrio.
Abbiamo imparato che, al di la di precarie e temporanee situazioni di relativa pace, dagli Stati di ogni grado e grandezza non c’è da aspettarsi molto per il futuro della comunità palestinese.
La speranza di una reale emancipazione è che in un futuro prossimo si rafforzino e si estendano quelle pratiche di auto-organizzazione sorte, in molti villaggi palestinesi, dalla solidarietà tra i comitati popolari locali e organizzazioni come gli Anarchici Contro il Muro, nel cui interno militano israeliani antisionisti e internazionalisti provenienti da molte parti del mondo. Pratiche di lotta fatte essenzialmente di resistenza all’arrogante espansione sionista che hanno portato molti villaggi a scegliere un’altra strada rispetto al militarismo fondamentalista di Hamas.
Noi come anarchici e libertari di classe continueremo a denunciare il colonialismo sionista, così come denunciamo tutti gli imperialismi ed i fondamentalismi oppressori della libertà e della dignità dei popoli, e continueremo ad appoggiare le lotte e gli atti di solidarietà nei confronti del popolo palestinese, sostenendo tutte quelle manifestazioni in embrione di auto-determinazione che hanno e che stanno caratterizzando la lotta di interi villaggi della Palestina, convinti che sarà solo liberandosi dalla malefica influenza di qualsiasi oligarchia statale o parastatale che i lavoratori e le lavoratrici potranno conquistare terreno verso una vita più dignitosa.
Ma ora, subito, la fine dei bombardamenti e la fine dell’embargo. Apriamo Gaza, la più grande prigione del mondo a cielo aperto.
20 Novembre 2012
Segreteria Nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici

sabato 17 novembre 2012

LETTERA MAMMA NO TAV

Ciao a tutti,
segnalo che stanno arrivando a casa convocazioni presso gli uffici di assistenza sociale, richiesti dalla Procura di Torino – Tribunale dei minorenni – per i ragazzi, minorenni appunto, che prendono parte a presidi, sit-in, volantinaggi, manifestazioni, attività No Tav, senza che ci sia una configurazione di un reato.
Si tratta di ragazzini identificati dalle forze dell’ordine, mentre, pacificamente, manifestavano in Valle di Susa.
Mio figlio Francesco, ancora 14enne, è stato segnalato, insieme ad altri minorenni, in quanto volantinava a Susa, a fine settembre.
Non essendoci presenza di reato, perché la Procura “segnala” i ragazzini ai servizi sociali?
Per vedere se il loro sano attivismo è sintomo di patologie o disagi familiari?
Se hanno genitori violenti, oppressivi che li costringono a manifestare per diritti civili e politici?
Manifestare diviene sintomo di disagio, per i rappresentanti della legge?
Se questo non è regime, non so cos’altro dire.
Angela

venerdì 9 novembre 2012

Il 14 novembre i lavoratori sono chiamati a uno sciopero europeo, il primo segnale di risposta internazionale a un attacco portato in tutto il continente in forme diverse ma sempre durissime dalla borghesia europea ed i suoi governi contro la classe lavoratrice. E ai lavoratori va restituita la titolarità delle lotte, che saranno tanto radicali quanto i lavoratori e le lavoratrici sapranno costruirle e esserne protagonisti.

Nostro compito, come sempre è quello di stare a fianco dei lavoratori, nei posti di lavoro e nelle piazze; perché la nostra condizione di donne ed uomini operai, impiegati, insegnanti, contadini, pensionati, studenti, precari e disoccupati, lavoratori al nero, esodati, partite IVA malpagate è la condizione mutabile all'interno di queste categorie di salariati sfruttati che stanno pagando quella che comunemente viene chiamata crisi, per nascondere il gigantesco saccheggio in atto di risorse economiche ed ambientali, di diritti e di civiltà.


www.anarkismo.net

venerdì 2 novembre 2012


PATERNALISMO SISMICO

La sentenza relativa al terremoto de L’Aquila del 2009, che ha condannato in primo grado la Commissione Grandi Rischi, ha fatto molto scalpore specialmente nella comunità scientifica nazionale e internazionale.

Non siamo, per indole, dalla parte dei magistrati ma riteniamo tuttavia importante fare chiarezza su come tale vicenda sia vissuta a livello mediatico. Innanzitutto c’è da dire una cosa: non è vero che i tecnici della Commissione sono stati condannati per non aver previsto il terremoto che la notte del 6 aprile 2009, alle ore 3.32 del mattino, colpì la zona de L’Aquila, provocando la morte di più di 300 persone. Opinione questa che è stata fatta propria universalmente da chi non condivide la sentenza, specialmente da quei scienziati e tecnici che hanno addirittura rievocato antiche persecuzioni inquisitorie.

In realtà la condanna è scattata perché i tecnici hanno coscientemente e deliberatamente mentito sulla probabilità o meno che un evento così catastrofico potesse avvenire. D’altra parte se è vero che un terremoto non può essere previsto, paradossalmente sono stati proprio i tecnici della Commissione che, rassicurando la popolazione aquilana, hanno implicitamente prodotto una previsione di non accadimento.

Quindi il comportamento scorretto dei tecnici sussiste semmai nell’aver elaborato una previsione scientificamente impropria (proprio perché i terremoti non si possono ne prevedere e ne non prevedere) e che oltretutto si è dimostrata tragicamente errata.

Ritornando indietro nel tempo, di fronte allo sciame sismico che da ottobre del 2008 veniva registrato nell'area aquilana, la Commissione, pochi giorni prima del terremoto del 6 Aprile 2009, risolve il tutto con un'oretta di riunione dove si affermano tutta una serie di ovvietà, compresa l’imprevedibilità dei terremoti, senza però decidere niente (vedi il verbale della Commissione Grandi Rischi del 31 Marzo 2009 su http://abruzzo.indymedia.org/article/6327).

I tecnici in quella riunione affermarono che l'aumento dell’attività sismica con il susseguirsi di piccole scosse ripetute non per forza doveva far pensare al verificarsi di un evento catastrofico. Questo è vero, ad uno sciame sismico non sempre segue un terremoto di grande energia, ed è anche vero che le grandi scosse non sempre sono precedute da questi e altri fenomeni premonitori. Però, spesso i due fenomeni sono associati; allora perché non è stato applicato il sano principio di precauzione, coordinando almeno un piano operativo che prevedesse una maggiore tempestività dei soccorsi, ad esempio, col dislocamento strategico dei mezzi? (I tempi di intervento in questi casi sono fondamentali) Ma soprattutto perché, se non si era sicuri sull’eventualità che una scossa sismica sarebbe potuta accadere o meno, si è rassicurata la popolazione?

Probabilmente, anzi sicuramente, le intercettazioni dei colloqui telefonici tra, l’allora potente capo della Protezione Civile, Bertolaso ed il sismologo Enzo Boschi, ci forniscono le risposte a queste domande: “…la verità non la si dice" ordina l’indiscusso capo della PC, e i tecnici obbediscono. I cittadini aquilani, autoritaristicamente, non devono essere informati, i cittadini aquilani, paternalisticamente, devono essere rassicurati.

È una pratica consueta nella gestione del potere utilizzata dai burocrati ed i tecno burocrati dello Stato. Una pratica intrisa di autoritarismo e paternalismo, una pratica che ha radici profonde nella consuetudine della delega del potere alle oligarchie dominanti, economiche, politiche e scientifiche. Una pratica che insieme alle altre caratteristiche peculiari di questo sistema di potere, quali la proprietà privata, i privilegi di classe e di casta politica, i connubi mafiosi tra istituzioni pubbliche e affaristi privati, contribuisce al degrado dei nostri territori ed all’insicurezza ambientale di fronte al naturale espletarsi dei fenomeni geologici.

Ritornando alla sentenza di primo grado, che come spesso succede in Italia quando sono coinvolti personaggi del potere è molto probabile che venga rovesciata negli altri gradi di giudizio, si rischia tuttavia che questa svii l’attenzione sull’altra grande parte di responsabilità oggettive che contribuiscono a rendere insicure le nostre città ed i nostri territori dal punto di vista geologico.

Infatti, se vogliamo contrastare gli effetti dei terremoti, così come quelli di altre catastrofi geologiche, l'unico aspetto su cui si può fare leva è la prevenzione.

E fare prevenzione significa ridurre il più possibile quei fattori che contribuiscono a mantenere alto il Rischio Sismico di una determinata area e che dipendono dalle risposte che mette in campo la società. Se infatti non si può intervenire sulla cosiddetta Pericolosità sismica perché dipende da cause oggettive legate alla sismicità naturale di un’area, se non facendo in modo che venga conosciuta sempre più adeguatamente, ad esempio approfondendo nei territori tutti quegli aspetti legati agli effetti sismici di sito, in grado di amplificare le onde sismiche di un terremoto, molto si potrebbe fare migliorando la Vulnerabilità sismica del costruito, caratteristica che esprime la propensione delle costruzioni a resistere alle azioni sismiche. 

E qui sta il grosso del problema Rischio Sismico.

Molti tecnici territoriali degli enti pubblici, infatti, ammettono candidamente di non conoscere affatto la Vulnerabilità sismica della quasi totalità degli edifici presenti sui territori di loro competenza, e non solo di quelli privati, ma anche di quelli pubblici come scuole ed ospedali, a fronte di una notevole vetustà del patrimonio edilizio italiano che per la maggior parte (circa il 55% in media e fino al 76% nelle grandi città) è stato edificato prima che entrasse in vigore qualsiasi normativa antisismica (fonte: http://www.architettibrescia.net/wp-content/uploads/2012/04/weekmailweb_2012_17.pdf).

D'altronde in questo bel paese abbiamo assistito al fatto che anche edifici costruiti in periodi dove le normative antisismiche esistevano (e questo è il caso dei capannoni industriali emiliani o della casa dello studente de L’Aquila, o della scuola di San Giuliano di Puglia, ecc, ecc,ecc), hanno subito danni fino al collasso strutturale, perché gli interessi di un intero blocco sociale pubblico-privato, composto da amministratori, faccendieri, palazzinari, dedito al guadagno a discapito della sicurezza del costruito, si è dimostrato più importante delle vite custodite dagli edifici.

Eppure le risorse per eseguire le verifiche sismiche, almeno degli edifici sensibili, ci sarebbero, basterebbe andare a fare un po' di conti in tasca a tutte le amministrazioni statali, centrali e periferiche, per vedere quanto spendono nel mantenere l'esercito del consenso all'interno delle aziende pubbliche o a capitale misto o quanto spende lo Stato in nuovi armamenti o nelle cosiddette missioni di pace; oppure quanto viene regalato all'imprenditoria delle finte cooperative con le esternalizzazioni dei servizi, o quanto viene elargito ad un imponente esercito di dirigenti assolutamente inutili alla collettività, o infine basterebbe recuperare una quota parte delle imposte evase nel commercio e nelle libere professioni, solo per citare alcuni esempi.

È qui che ritorna prepotente il meccanismo della delega. Non possiamo lasciare nelle mani di questi faccendieri la gestione dei nostri territori, anche dal punto di vista della sicurezza ambientale.

Sta a noi, infatti, attraverso la costituzione di organismi di autogoverno territoriale basati sulla cooperazione tra cittadini e tecnici attenti alla conservazione dei beni comuni, come il patrimonio edilizio sensibile (scuole e ospedali ad esempio), e alla salvaguardia della sicurezza sociale, ribaltare la situazione, mettendo in campo forme di lotta che sappiano direzionare le risorse collettive generate dalla tassazione, ad esempio, altrimenti orientate dagli organi statali centrali e territoriali ad alimentare i privilegi e gli sprechi dei tecno burocrati e degli affaristi, o quelle orientate ad alimentare la spesa militare o a mantenere l’enorme, dispendioso e inutile parco dirigenziale.


Novembre 2012

Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente della FdCA

venerdì 26 ottobre 2012

Milano:Processo ai sostenitori degli operai

Invitiamo a presenziare all’udienza di venerdì 26 ottobre
alle h.9.30 al tribunale di Milano (sezione X, aula 10, piano terra)

Venerdì 26 Ottobre inizia il processo contro cinque compagni accusati di resistenza e
lesioni a pubblico ufficiale, nel corso della protesta sulla tangenziale avvenuta
Domenica 2 Agosto 2009 per sostenere la lotta contro la chiusura della fabbrica che
gli operai della INNSE portavano avanti da 14 mesi. In quell’occasione, la polizia
sgomberò con la forza il presidio di fronte ai cancelli della fabbrica, mentre
all’interno si procedeva allo smontaggio delle macchine. La reazione degli operai e
dei loro sostenitori fu immediata, ogni ora che passava segnava la fine della
fabbrica e del posto di lavoro dei 50 operai occupati.
La protesta sulla tangenziale fu il primo tentativo di attirare l’attenzione pubblica
su quanto stava accadendo. Successivamente, la resistenza di alcuni operai saliti in
cima ad un carroponte per 9 giorni contribuì a conseguire gli obbiettivi di quel
lungo braccio di ferro: fu impedito lo smantellamento della fabbrica, la speculazione
edilizia che ne sarebbe conseguita e salvati tutti i posti di lavoro. La fabbrica
riprese l’attività ed è ancora attiva con nuove assunzioni.
Dopo i decreti penali di condanna per l’occupazione della tangenziale, caduti nel
vuoto, e dopo un processo per un’altra resistenza allo sgombero della fabbrica del
Febbraio 2009 che ha visto assolti tutti gli imputati. Il processo che va a
cominciare è un nuovo tentativo per sanzionare i sostenitori degli operai della INNSE
che avevano dimostrato di essere determinati a non far chiudere la fabbrica, non
accettando di contrattare il prezzo della propria sconfitta: una scelta vincente.
Ovunque ci si lamenta della disoccupazione, della perdita di posti di lavoro, della
chiusura delle fabbriche ma poi accade che si portano in tribunale, per fatti
inesistenti, i sostenitori che  assieme agli operai hanno lottato realmente per
impedire chiusure di fabbriche e licenziamenti di massa. Perché?
Forse il reato vero è la solidarietà, l’unione che si è cementata in via Rubattino
davanti alla INNSE, forse è questo il pericolo che va scongiurato?
Gli operai della INNSE sentono come primo dovere restituire la solidarietà a questi
sostenitori, saranno presenti all’udienza del 26 Ottobre e invitano anche gli altri a
presenziare. Nello stesso giorno altri operai, quelli della ditta di Basiano, saranno
processati per aver difeso con accanimento il loro posto di lavoro, anche a loro deve
andare la nostra solidarietà.
Processare e condannare persone che per un pezzo di pane difendono il loro posto di
lavoro è forse un nuovo sistema per affrontare il problema della disoccupazione?

Facciamo sentire la nostra  solidarietà
RSU  INNSE Milano
Sostenitori degli operai che resistono ai licenziamenti

mercoledì 24 ottobre 2012

Profumo marcio di destra nella scuola italiana

Quanta è forte la tentazione di tornare a brandire bastone e carota in questo paese! Quanti sforzi si stanno facendo per ridurre ad un sottomesso silenzio i milioni di lavoratori del pubblico impiego e del privato, stracciando decenni di diritto del lavoro, di diritti sindacali, di contratti nazionali ed emettendo normative che hanno l'unico scopo di inibire ogni forma di risposta sindacalmente organizzata, di soffocare ogni rivendicazione radicata nelle categorie e nei luoghi di lavoro.
Vanno in questa direzione i provvedimenti che riguardano la scuola, contenuti nella legge di stabilità che il governo in carica intende far approvare entro la fine dell'anno solare.
In continuità con la normativa emessa dal precedente governo, si interviene contestualmente sulle retribuzioni e sulla progressione economica.
Il blocco dei rinnovi contrattuali fino al 2014 prolunga il blocco già deciso col decreto legge 78/2010 dal governo Berlusconi fino al  2012. Ma blocca anche fino al 2013 la progressione per gradoni prevista dal contratto nazionale di categoria.
Così, col contratto fermo al 2007, gli stipendi della scuola sono rimasti apparentemente immobili, ma in realtà hanno perso oltre il 20% del loro potere d'acquisto.
Nella legge di stabilità scompare l'indennità di vacanza contrattuale (il cui contenzioso sindacale di base sulla sua mancata erogazione in passato aveva ottenuto numerose sentenze favorevoli) fino al 2015, quando tornerà ad essere pagata con aggancio all'inflazione programmata e non più all'ipca (il tasso europeo, più pesante di mezzo punto percentuale rispetto al vecchio calcolo dell'inflazione).
Ma la legge di stabilità si colloca anche in continuità con il famigerato decreto legislativo 150/2009, meglio noto come decreto Brunetta, dove si intende far perdere efficacia alla contrattazione collettiva, pur non potendone negare il primato nella regolazione di diritti e doveri nel pubblico impiego tanto da parte dei lavoratori quanto da parte dell'amministrazione in qualità di datore di lavoro.
Se la retribuzione sufficiente prevista dall'art.36 della Costituzione si rinviene negli importi determinati dalla contrattazione collettiva, ponendo nel contratto collettivo la fonte primaria del rapporto di lavoro (sentenza della Corte di Cassazione del 14/10/2009), allora l'operazione del governo Monti nel disegno di legge sulla stabilità appare essere del tutto unilaterale e lesiva dei diritti costituzionali dei lavoratori.
Allo stesso modo, l'operazione extra-contrattuale sull'aumento di 6 ore per l'orario di insegnamento nelle scuole medie e superiori a retribuzione invariata, si profila come una palese violazione del primato del contratto collettivo. Sarebbero 723 i milioni di euro che il governo vorrebbe risparmiare con l'operazione 24ore: 22mila posti di lavoro da tagliare. L'ombra della Gelmini si proietta ancora nella sua distruzione di lavoro, di diritti e di cultura.
Buon gioco ha il governo grazie ai media che volentieri "dimenticano" che in Italia gli insegnanti hanno le retribuzioni più basse d'Europa a fronte di orari più lunghi (22 ore per i maestri contro la media di 19,6 della UE, 18 ore per i prof contro la media di 16,3 della UE).
Intanto si prevedono altri 223 milioni di euro per le scuole paritarie....
Ma oltre al decreto legislativo sulla stabilità, si sta profilando all'orizzonte la trasformazione in legge del ddl Aprea (PdL) sulla "Autonomia Statutaria delle Istituzioni Scolastiche", che in aprile ha avuto una corsia preferenziale con testo unificato in sede legislativa alla VII Commissione Cultura della Camera. Si tratta di una raffica di articoli che porterebbero la scuola italiana alla mercè dei privati che entrano negli organi collegiali e nella definizione dello statuto autonomo di ogni singola scuola che sottrae di fatto ai docenti la libertà di insegnamento.
Di fronte a tanto bastone e rinsecchita carota, la risposta dei lavoratori della scuola è oggi fortemente condizionata dalla divisione in campo sindacale, da scelte di subordinazione fatte in passato da CISL-UIL-SNALS-GILDA, dalla tardiva e solitaria radicalizzazione della CGIL, dalla cronica incapacità di unirsi dei diversi sindacati di base presenti in categoria.
Occorre una risposta dal basso, occorre una mobilitazione di base che ripercorra strade già vittoriose in passato, contro e nonostante i governi in carica, contro e nonostante certe linee sindacali totalmente subordinate. Il mondo della scuola ha già saputo dimostrare di sapersi organizzare dal basso ed in maniera unitaria: insegnanti, studenti, genitori, uniti nel difendere e salvare la scuola pubblica dalle miserie della privatizzazione, uniti nel difendere la scuola pubblica quale presidio di cultura in territori sempre più impoveriti e mercificati. 
FdCA - Commissione Sindacale
ottobre 2012

mercoledì 17 ottobre 2012

Vi invitiamo con piacere alla presentazione di un libro sulla storia della capitale:
 
ROMA SOVVERSIVA
Anarchismo e conflittualità sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926)
 
di Roberto Carocci
 
 
 
SABATO  20  OTTOBRE  2012,  ore  17.30
 
sarà presente l’autore
 
 
Ingresso libero e gratuito per le/gli iscritte/i alla biblioteca (è possibile iscriversi il giorno stesso)

martedì 2 ottobre 2012

Dagli USA

 

L'illusione della scelta

Se non sarà il voto ad aiutare la classe lavoratrice americana, cosa allora?


Le elezioni presidenziali del 2012 si stanno avvicinando velocemente e gli americani si troveranno a partecipare a questo rituale votando per un candidato del Partito Democratico o del Partito Repubblicano. Il che è un po' come decidere se bere la Coca-Cola o la Pepsi. I Democratici ed i Repubblicani sono costantemente impegnati nell'argomentare e promuovere le loro visioni, rispettivamente quella liberale e quella conservatrice (entrambe facce della medesima svalutata moneta). Non è altro che uno show dovuto da questo sistema bipartitico alle elite corporative ed alle banche internazionali che lo finanziano. I 2 partiti possono avere tonalità differenti, ma alla fine dei conti, sono in pratica la stessa cosa, uno in una scatola blu e l'altro in una scatola rossa, ma quando si aprono queste scatole vi si trova dentro la stessa cosa.

Alcuni dicono che i Democratici sono “il male minore”. Il che vuol dire ammettere che essi sono uno dei due mali. L'esperienza mostra che non possiamo battere il male "peggiore" con il male "minore"—perchè essi sono fondamentalmente la stessa cosa. Ad ogni elezione, la classe lavoratrice vota per i Democratici e ad ogni elezione i Repubblicani peggiorano, ma peggiorano pure i Democratici. Entrambi vanno a destra.

La conclusione del mandato di Barack Obama giunge come una pugnalata alla schiena per i suoi elettori. Le sue promesse di cambiamento si sono rivelate menzogne, ma questo vale per tutti i presidenti. Promettono al popolo americano che se verranno eletti rafforzeranno il paese, ne miglioreranno le condizioni e miglioreranno le nostre vite. Appena entrano nella Casa Bianca si dimenticano delle loro promesse e e si mettono al servizio degli interessi delle elite corporative. Come scriveva il grande scrittore americano Mark Twain: “Se con il voto si potessero cambiare le cose, non ci farebbero votare”.

Secondo l'Ufficio di Statistica sul Lavoro, ad agosto del 2012 il tasso di disoccupazione era dell' 8.1%, ma diventa il doppio nel caso degli afro-americani. Molte persone di colore avevano riposto la loro fiducia in Obama, credendo che quando quest'uomo dalla pelle scura fosse entrato nella stanza ovale, sarebbe stato il presidente che avrebbe migliorato le condizioni delle persone di colore in questo paese, ma non è andata così. Il Presidente Obama non ha presentato nessun programma per aiutare i lavoratori americani poveri e disoccupati, che sono nella stragrande maggioranza persone di colore; cedendo ad ogni richiesta di parte repubblicana, la sua amministrazione ha espulso più migranti di quanti ne avesse espulso l'amministrazione Bush. Obama aveva detto che avrebbe messo fine alle guerre, ma ha fatto l'opposto fin dall'assunzione del mandato nel 2008. Siamo quasi al 2013 e ci sono ancora truppe di occupazione in Iraq mentre la cosiddetta ‘Guerra al Terrore’ è tuttora in corso in Afghanistan, Pakistan, Yemen, ecc. In più, c'è stato il bombardamento della Libia e ci sono truppe dispiegate in tutta l'Africa Orientale. Obama ha anche firmato la legge nota come National Defense Authorization Act, appoggiata anche da John McCain, in cui si prevede l'arresto e la detenzione di civili, extra-procedurale e senza dovuto processo.

Il sistema bipartitico ha smesso di funzionare per gli americani molto tempo fa. Da quando i Democratici ed i Repubblicani si sono rivelati inaffidabili; e allora per chi dovrebbero votare gli americani nell'Election Day? Esiste l'opzione di votare per il candidato di un terzo partito, ma questi altri partiti offrono davvero un'alternativa? Se si guardano da vicino le posizioni di questi partiti terzi, si scopre che hanno piattaforme simili a quelle dei 2 partiti maggiori. Per esempio - il Libertarian Party; che è fondamentalmente la versione giovanile del Partito Repubblicano.  I Libertarians hanno la stessa retorica dei Repubblicani, entrambi vengono sostenuti dai Koch Brothers e dalla elite della business class ed esiste una relazione a porta girevole tra i 2 partiti. Le uniche differenze stanno nel fatto che i Libertarians dicono di essere più socialmente liberisti ed a favore della legalizzazione dell'uso delle droghe. L'ex-governatore repubblicano del Nuovo Messico, Gary Johnson (che ha vinto le primarie dei Repubblicani per le elezioni presidenziali del 2012). Proprio come Obama, Johnson sta promettendo la fine della guerra e di riportare a casa le truppe, ma in un dibattito elettorale ha detto: “Le nostre truppe oltremare sono la sola cosa che ci tiene al sicuro dai terroristi”. Se fosse davvero per la fine delle occupazioni d'oltremare in Iraq ed Afghanistan,  Johnson avrebbe detto l'opposto di questa falsa affermazione.  Egli promette anche di rimettere a posto l'economia. Come vuole fare uscire l'America dalla recessione? Per lo più esattamente come hanno fatto i Repubblicani: più tasse sulla sanità, deregolamentazione, mettere in paese sotto il controllo del grande business--la stessa idea di libero mercato che ci ha portato in questo casino!

C'è anche il Green Party, il partito che più degli altri si occupa di ambiente. Hanno idee molto progressiste, ma anche se dovessero entrare alla Casa Bianca, le possibilità di portare avanti dei cambiamenti significativi sono molto esili.  Ogni voto che viene dato è un voto per tenersi un governo che è sempre lo stesso, corrotto! Se vi trovaste a giocare con qualcuno che continua a fare chiacchiere, non vi stufereste davvero di continuare a giocare?

Se non sarà il voto ad aiutare i lavoratori americani, cosa allora? E' necessario rendersi conto di quanto contino poco le differenze dal momento che siamo nella stessa barca economica. Uniti potremmo lavorare per avere una migliore sanità, una migliore istruzione, per migliorare i nostri quartieri, per avere un ambiente più pulito, fonti di energia rinnovabili e più pulite e livelli di vita più alti. Il giorno delle elezioni presidenziali, milioni di americani non dovrebbero affollare i seggi, bensì occupare le strade e chiamare alle loro responsabilità le corporations, i politici corrotti a livello federale e locale, chiamare a rispondere dei loro crimini le grandi banche e costringerle a far vedere i loro bilanci! Le banche e le imprese dovrebbero essere occupate e tolte ai loro proprietari. Dovrebbero essere gestite democraticamente dai lavoratori e dalle comunità locali. Per fare questo, è necessario sviluppare un'azione militante di massa, con scioperi, disobbedienza civile, manifestazioni, attività sindacali, occupazioni di posti di lavoro e di scuole, ed in generale sollevare un putiferio.
Lorsen - Common Struggle NYC
(traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)
Link esterno: http://commonstruggle.org/

Da Ainfos

 

Contro le aggressioni agli/lle zapatist*, solidarieta'!

Date Sat, 29 Sep 2012 21:38:05 +0200


Mercoledì 19 Settembre 2012
All'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Ai/alle compagne base d'appoggio zapatista della Nueva Comunitad Comandante Abel
Alla Otra Campaña
Alla Sesta Internazionale
Fratelli e sorelle del mondo:
Con grande rabbia e indignazione abbiamo saputo della grave e
dïfficile situazione che stanno vivendo i nostri fratelli e sorelle
basi d'appoggio zapatiste (BAZ) nella Nueva Comunitad Comandante Abel
(prima San Patrizio), Municipio Autónomo la Dignidad.

Il giorno 12 Settembre, la Giunta di Buon Governo (JBG) Nueva Semilla
que va a Producir, del Caracol V Que Habla para Todos, Roberto Barrios
denunciò pubblicamente la ennesima aggressione paramilitare subita
dalle basi d'appoggio zapatiste della Nueva Comunidad Comandante Abel.
La situazione in questa comunità è molto preoccupante: la vita,
l'integrità e la sicurezza dei e delle nostre compagne BAZ sono in
grave pericolo, al punto che si sono trovati obbligati a scappare
verso la montagna per evitare di essere massacrati dai paramilitari.

Dalle aggressioni dell'anno scorso fino ad oggi, i e le compagne,
insieme alle loro famiglie, hanno subito molti abusi perpetrati da
parte del malgoverno, che per i suoi scopi repressivi utilizza altri
contadini abitanti dello stesso villaggio dei compagni zapatisti. Il
potere statale muove in questo modo i fili di una guerra tra poveri
indotta allo scopo di uccidere, appropriarsi e sfruttare le ricchezze
naturali di un territorio che non gli appartiene. Questi territori
appartengono infatti alla gente che da sempre vive e lavora lì, tutela
e difende la Madre Terra.

La aggressione nella comunità Comandante Abel fu attuata da 150
persone, che hanno sparato verso i e le compagni/e. Allo stesso modo
nella comunità di Union Hidalgo, i e le compagne basi d'appoggio
zapatiste sono stati obbligati a rifugiarsi nella montagna per mettere
in salvo le loro vite. Lì hanno passato due giorni alla pioggia e al
freddo, i bambini e le bambine si sono ammalati e stanno soffrendo la
fame. Al momento quattro persone, due donne e due bambini si sono
perse, rimanendo altri tre giorni nel bosco, bagnati e affamati.

"Tutto quello che sta accadendo è parte della stessa guerra di
controinsurgenza che sta attuando il malgoverno dei ricchi potenti
contro la nostra organizzazione e i nostri villaggi in resistenza; il
governo sta cercando di spargere sangue e morte, mentre i nostri
villaggi in resistenza stanno costruendo la loro vita basandosi
sull'unica ricchezza che abbiamo che è la madre terra dove viviamo"
(Comunicato del 8 settembre 2012 della Giunta di Buon Governo, Nueva
Semilla que va a producir)

Fino a quando durerà questa persecuzione contro i nostri fratelli e le
nostre sorelle zapatiste?

Questa aggressione è rivolta anche a noi, perché i e le zapatiste sono
per noi tutt* un esempio di lotta dal basso e di autonomia, che con le
loro iniziative quotidiane ci ricordano che un altro mondo - fra
differenti - è possibile, perché è un mondo di cui fan parte molti
mondi.

Compagn* zapatist*:

In questi momenti così difficili non siete soli/e. Il nostro cuore è
pieno di rabbia. La vostra lotta è la nostra lotta, perché tutt*
lottiamo contro il capitalismo e per la difesa della terra. Dai tempi
della conquista spagnola fino al tempo del dominio neoliberalista, la
dinamica non è cambiata: quelli che comandano dirigono una guerra
senza pietà per appropriarsi del territorio, schiacciando la vita
delle persone, seminando morte e facendo scorrere il sangue dei nostri
fratelli e sorelle.

Assumiamo il dovere minimo della solidarietà: diffondere le denunce
delle Giunte di Buon Governo e, nella misura delle nostre possibilità,
agire allo scopo di frenare la guerra integrale che il mal governo
muove contro quell'isola di libertà che quotidianamente costruite,
compagn* zapatist*.

Sappiamo chi sono i mandanti delle aggressioni contro la comunità
Comandante Abel, contro i compagni di Moisés Gandhi, contro la
comunità di San Marcos Avilés; conosciamo i loro nomi e le loro facce,
sono i nostri nemici comuni che agiscono attraverso diverse braccia
comprate per un pugno di centesimi, e capeggiate dalla cupola del
potere transnazionale del Messico; gente come Calderón e Sabines...

Per questo i collettivi della Piattaforma Internazionalista per la
Resistenza e l'Autogestione Tessendo Autonomia (PIRATA) vogliono
pubblicamente denunciare nei nostri paesi, nei nostri quartieri e
nelle nostre lotte le violenze e le aggressioni perpetuate contro i/le
compagne zapatiste e la responsabilità del mal governo messicano.

Stop alle aggressioni a Comandante Abel e San Marcos Avilés!
Basta con gli attacchi verso le comunità zapatiste!
I/le zapatist* non sono sol*, siamo dapertutto!


La Pirata:

Collettivo Zapatista "Marisol" di Lugano (Svizzera) - http://czl.noblogs.org/
Nodo Solidale (Italia e Messico) - http://www.autistici.org/nodosolidale/
Nomads (Italia) - http://nomads.indivia.net/
Grassroots Projects (Olanda) - http://www.grassrootsprojects.com/

sabato 29 settembre 2012



REFERENDUM  SUL LAVORO (ART. 18  L. 300/70 E ART. 8  L. 138 bis),
UN’OPPORTUNITA’ DI  MOBILITAZIONE O UNA RINUNCIA ALLA LOTTA?


Uno schieramento vario e composito delle sinistre, Di Pietro, Vendola, Ferrero, Diliberto, Bonelli, la Fiom, Alba, due giuslavoristi come Romagnoli e Alleva, altri pezzetti della Cgil, tra cui Gianpaolo Patta e Gianni Rinaldini, ha costituito il Comitato Promotore che ha depositato in Cassazione questi due quesiti referendari relativi all’art. 18 L. 300/70(Statuto dei Lavoratori) e dell’art. 8 L.138 bis(Manovra Finanziaria). A sostegno di questi Referendum si stanno accodando altri soggetti della sinistra politica, sociale e sindacale.
La nostra non sarà un’analisi completa del problema, proviamo però a presentare alcuni aspetti critici secondo noi importanti e, possibilmente contribuire ad una riflessione più generale. Certo queste riflessioni sono un punto di vista di parte, di alcuni compagni attivi sui propri posti di lavoro e nel territorio.
L’articolo 18 è diventato già da anni un problema simbolico molto forte. Allo stesso tempo si tratta di  una maniera per distogliere l’attenzione da un attacco più complessivo che riguarda i salari, gli ammortizzatori sociali, i contratti nazionali di categoria, etc.. Oggi con la scusa dell’emergenza prodotta dalla crisi, si vuole completare lo smantellamento delle conquiste ottenute dal movimento operaio nel passato. Per i padroni e per i loro governi l’art. 18, da una parte, è una questione di principio, visto che questo strumento è utilizzabile in casi sempre più limitati e che milioni di lavoratori e precari sono oggi già esclusi dalla sua tutela. Per la borghesia è quindi una questione di principio perché si tratta di recidere ogni ricordo delle lotte degli anni ‘60 e ‘70, per concludere un periodo di restaurazione antisociale iniziato oramai molti anni addietro. Dall’altro l’abolizione parziale o completa di quest’articolo dello Statuto dei Lavoratori è un modo concreto ed efficace per eliminare le avanguardie più combattive dalle aziende medie e grandi.

Nella fase attuale di crisi del capitalismo, il riformismo nostrano offre armi sempre più spuntate che si trasformano in brucianti sconfitte per i lavoratori e le lavoratrici.
Sembra che la storia, anche quella molto recente, non insegni proprio nulla, a neanche dieci anni, era il 2003, dalla batosta del Referendum promosso da Rifondazione Comunista, per l’estensione dell’art. 18 ai lavoratori delle aziende con meno di quindici dipendenti, si vuole ripercorrere la strada che portò a quella cocente disfatta. Non era, del resto, la prima volta che si perdeva un Referendum, ma mai con quelle proporzioni. Il 15 giugno 2003 andarono a votare 12.667.178 cittadini e cittadine pari al 25,6% degli aventi diritto al voto, lontanissimi dal quorum necessario alla validazione della consultazione. Un fallimento pesante ed inconfutabile che ha ulteriormente deluso e demoralizzato i lavoratori e le lavoratrici. Un risultato pessimo che i padroni hanno sfruttato al meglio.
Sarebbe interessante sapere dai promotori di questa iniziativa, cosa sia cambiato in meglio in Italia, in termini di consenso e coscienza  rispetto a nove anni fa, perché a noi sfugge proprio.
Prima di addentrarci in alcune critiche  sull’istituto referendario, sui suoi pro e contro, è forse il caso anche brevemente di rinfrescarci la memoria su alcuni dei precedenti Referendum, relativi al mondo del lavoro, promossi negli anni ’80 e ’90.
Il 9 e 10 giugno 1985, si votò per esprimersi se abrogare il cosi detto decreto di San Valentino poi divenuto legge, che tagliava quattro punti percentuali della Scala Mobile. Per l’abrogazione, si schierarono il PCI(promotore del Referendum), DP, Lista Verde e MSI. Dall’altra  parte schierati per il NO, tutto il Pentapartito più i Radicali. Nonostante vi fosse ancora un forte e combattivo movimento dei lavoratori, votarono 34.959.404 persone, il quorum fu raggiunto e il SI ottenne  il 45,7 mentre il NO arrivò al 53,3. Una grave disfatta che peserà non poco tra i lavoratori e le lavoratrici. Il lavoro iniziato da Craxi sarà portato poi a termine da un altro socialista, Amato, neanche dieci anni dopo con l’eliminazione della Scala Mobile che sarà “sostituita”  dal cosi detto Elemento Distinto della Retribuzione.
Finita la prima Repubblica, nel 1995, alcuni sindacati di base, Rifondazione e sinistra Cgil si fecero promotori di due Referendum relativi entrambi alla modifica dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, più un terzo sulla Contrattazione nel Pubblico Impiego, mentre un quarto quesito, invece era promosso da Radicali e Lega, e riguardava l’abrogazione della norma che imponeva la contribuzione sindacale automatica ai lavoratori. L’11 giugno gli italiani andarono alle urne per esprimersi su un totale di 12 quesiti referendari(tranne i tre di cui sopra, gli altri erano promossi dai radicali), questo ed altri fattori favorirono l’afflusso ai seggi e il raggiungimento del quorum. Si ebbe una “vittoria fittizia”. Il primo quesito sull’articolo 19, quello promosso da una parte del sindacalismo di base che voleva l’abrogazione dell’articolo, che attribuiva alle Confederazioni maggiormente rappresentative la titolarità della rappresentanza(richiesta massimale) non passò. Con un quorum del 57,2%(27.218.366 voti), i SI arrivarono al 49,97%, mentre i NO ottennero il 50,03%.
Al primo quesito su l’articolo 19, se ne era aggiunto un secondo in opposizione al primo, promosso dalla sinistra Cgil dell’epoca, di parziale abrogazione dell’articolo stesso(richiesta minimale), la cui approvazione ha prodotto l’attuale situazione. Con il 57,2%(27.702.339 voti) si raggiunse il quorum. Il SI ottenne il 62,1%, mentre il NO il 37,9%.                                               
Gli altri due quesiti relativi alla contrattazione nel pubblico impiego e alla contribuzione sindacale automatica videro il raggiungimento del quorum e una vittoria del SI.
Incredibilmente e a sfregio di quella consultazione il segretario della Fiom, oggi, chiede (al Governo?) di ripristinare l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come era prima del Referendum abrogativo parziale(intervista a Landini su La Repubblica del 17 gennaio di quest’anno), cioè di ripristinare quel primo comma che attribuiva alle Confederazioni maggiormente rappresentative(CGIL,CISL,UIL e oggi la cooptata UGL) il monopolio della rappresentanza.      Oggi la formulazione uscita dal Referendum del ‘95 colpisce, penalizzandola, la Fiom, così sostengono sia Landini che Fassina, divisi sull’attuale proposta referendaria, ma uniti nell’avversare l’esito della Consultazione del 1995, per imporre alle controparti padronali la Fiom come organizzazione riconosciuta tramite una legge dello Stato. Rinunciando così ad imporsi alla controparte sulla base dei rapporti di forza(il Sindacato dei Metallurgici conta più di 360.000 iscritti, ma ci sembra abbia un potere contrattuale minore di quello che hanno qualche migliaio di tassisti). Negli anni l’abrogazione parziale dell’art.19 ha colpito e fortemente limitato anche la crescita del sindacalismo alternativo impedendogli spesso di avere le trattenute sindacali, il diritto a tenere assemblee in orario di lavoro, di sedere ai tavoli negoziali anche nelle aziende in cui rappresenta una cospicua e/o maggioritaria parte dei lavoratori. Questo scempio si è andato ad aggiungere all’accordo della triplice, CGIL,CISL,UIL del ‘93 che attribuiva ai firmatari di contratto nazionale la riserva del 33% degli eletti nelle RSU a prescindere dai risultati elettorali, e di cui anche la Fiom ha lungamente beneficiato.                                                                                
Comprendiamo l’inquietudine ed il tormento del Sindacato dei Metallurgici, attaccato frontalmente da Marchionne, messo all’angolo in aziende in cui la presenza della sua organizzazione è forte e radicata. Ma la dirigenza Fiom invece di farsi punto di riferimento di una ricomposizione del sindacalismo di classe e conflittuale, aldilà di qualche distinguo come questo dei Referendum, utile al recupero di consenso a sinistra, ci sembra sempre più appiattita ad una visione del Sindacato non troppo distante dal resto della Confederazione diventata da decenni una burocrazia parastatale con un’idea dell’organizzazione dei lavoratori che ha come modello, delle relazioni sociali basate sulla collaborazione(cogestione) tra le classi nell’interesse generale della nazione. Una visione e una pratica del sindacalismo in sostanza  neocorporativo.
L’istituto referendario meriterebbe un approfondimento maggiore, viste anche tutte le implicazioni relative a quale tipo di democrazia ci interessa coltivare e sviluppare. Alcune brevi considerazioni sono però d’obbligo, visto che in questi ultimi anni c’è capitato di dover prendere posizione di fronte ad alcuni appuntamenti importanti come quelli sull’acqua ed il nucleare. Si tratta dunque di uno strumento di democrazia diretta che consente agli elettori-cittadini di fornire - senza intermediari - il proprio parere o la propria decisione su un tema specifico oggetto di discussione? Alcuni sostengono che l’utilizzo dell’istituto referendario è tuttavia indesiderato dalla maggior parte dei partiti politici, perchè il potere più rilevante dei partiti, consiste proprio nel controllo sulle procedure mediante le quali viene presa la decisione e si legifera, e quindi con il Referendum è l’intera classe politica che si sente espropriata della sua funzione.

 Il Referendum è per noi un’arma a doppio taglio, da una parte infatti questo tipo di strumento oggi come oggi, in questa società, può essere un’arma plebiscitaria in mano ad una borghesia che detiene il monopolio dei mezzi di comunicazione, e che quindi è in grado di manipolare a suo piacimento informazioni e notizie, capace di determinare un consenso ampio tra le masse alla sua politica. Dall’altra parte, in alcune situazioni specifiche, è innegabile che su alcuni temi particolari(di carattere più interclassista) ci possa essere un sentimento diffuso di opposizione anche a ciò che i mass media propagandano, è stato così con le consultazioni relative al no al nucleare, alla depenalizzazione delle droghe leggere, fino a quella sull’acqua pubblica(accenniamo solo ai Referendum vinti, più recenti). In questi casi, nonostante i risultati delle votazioni, i Referendum sono però rimasti in buona parte lettera morta. Del resto per rendere inefficace una Consultazione basta che il Parlamento modifichi la legge in questione prima delle votazioni e il Referendum salta. Così come la vittoria in una consultazione referendaria non è garanzia di nulla, poiché la maggioranza parlamentare può sempre fare una legge, anche peggiorativa di quella precedente la Consultazione e vanificare così il Referendum e tutti gli sforzi fatti in tal senso. Un’altro problema non secondario è relativo al requisito del raggiungimento di un quorum per la validità del voto e dei suoi effetti. Se i contrari, in una consultazione, si dividono tra chi vota no e chi non vota per non far raggiungere il quorum, il sì può vincere anche con una minoranza: ad esempio se il 25% più 1 votano sì, il 25% vota no, il 25% non vota per non far raggiungere il quorum, e un’altro 25% sono quelli che comunque non vanno a votare, il quorum viene raggiunto e vince il sì, anche se i sostenitori del no sono il doppio. Del resto il 50% più uno è una maggioranza reale?                        Non vogliamo però sostenere che il Referendum non possa essere, in alcuni casi, uno strumento da utilizzare, ma visti i limiti e le contraddizioni insiti di per sé in questo istituto, crediamo che ne vada fatto un uso attento ed intelligente. D’altro canto non possiamo neanche nasconderci che oggi dietro i Referendum si cela un modo per attingere ai finanziamenti pubblici, sappiamo bene infatti che per i promotori delle consultazioni ci sono lauti rimborsi elettorali.                                                      
Alla fine di questo ragionamento ci chiediamo: “Perché mai dovremmo andare a chiedere di votare per noi, a commercianti, liberi professionisti, datori di lavoro, ect., su un tema così particolare? Più in generale perché una massa eterogenea di lavoratori impiegati nelle piccole aziende, milioni di precari e lavoratori al nero senza contare la miriade di lavoratori formalmente autonomi, tutti lavoratori che l’articolo 18 dello Statuto non lo hanno mai  conosciuto come una tutela concreta, dovrebbero recarsi alle urne e votare per l’abolizione dell’attuale modifica all’articolo?
Saremo maliziosi ma questa storia dei Referendum sul lavoro non ci piace proprio e ci sembra funzionale ad un ceto politico della sinistra inamovibile che unitamente alle burocrazie sindacali tenta di salvare la faccia di fronte alla propria base. Già li sentiamo, questi signori, argomentare la sconfitta con parole del tipo: “Noi ci abbiamo provato…ma che colpa abbiamo noi se questo paese è diventato di destra…”                                                                                                                                 
Questa iniziativa è quindi per noi fuorviante e pericolosa per tutti i lavoratori “garantiti“ e/o precari che siano. Il problema non è solo la ricerca di visibilità della maggior parte delle forze politiche del Comitato Promotore, in vista delle prossime scadenze elettorali. Il vero problema è la rinuncia totale a costruire campagne di mobilitazione e lotte articolate a livello nazionale per la difesa dell’art. 18. Paradossalmente Cofferati, che non è certamente più a sinistra degli attuali promotori di quest’iniziativa, una grande mobilitazione di massa è riuscito a promuoverla!                                
La battaglia in difesa dell’articolo 18 e più in generale, di tutte le conquiste sociali ha un senso solo se si trasforma in una battaglia più generale per l’allargamento dei diritti a chi ne è escluso. Unico elemento, questo, che può trasformare una lotta di difesa, in una battaglia offensiva, di rilancio di una prospettiva tesa alla riconquista di diritti, agibilità, libertà nonché di salario, e che può unificare una classe frammentata e divisa, contro l’Europa dei padroni e della finanza e le loro politiche di rapina e guerra.
Roma sett. 2012
CENTRO DOCUMENTAZIONE ANTAGONISTA –LA TALPA-