venerdì 30 gennaio 2009

Una giornata a Lampedusa

Pubblichiamo volentieri questo comunicato della "Rete contro la precarietà" di La Spezia sui fatti di Lampedusa che dimostrano che non tutte le comunità locali italiane si lasciano ingannare dalla propaganda razzista dello Stato, il cui unico scopo è quello di dividere la classe lavoratrice e tutti gli oppressi sulla base di identità etniche.
Non è un caso che il clamore mediatico di regime si sgonfia immediatamente quando una comunità intera si rende conto dell'inganno e capisce che il nemico non è quello che ci vogliono far credere, non è il nostro simile che è costretto ad abbandonare il proprio paese natio per fame, per la repressione o semplicemente perchè vuole ricongiungersi ai propri cari.
Figuriamoci poi quando questa comunità si rende conto che, anzi, l'avversario è rappresentato da quelle istituzioni arroganti che vogliono imporre il privilegio dei pochi ricchi a scapito della dignità dei tanti poveri diseredati, che chiedono di avere in parte quella ricchezza che loro stessi contribuiscono a produrre.

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Una giornata a Lampedusa

Quel che poteva accadere è accaduto
Dopo anni di sbarchi, morti in mare, dispersi, polemiche, ipocrisie elettorali, creazioni di demoni e fantasmi, Lampedusa si sveglia accorgendosi di essere stata presa in giro, di essere un avamposto fortificato, a metà strada tra chi cerca di fuggire e chi sfrutta la fuga per creare terrore.
Dopo aver creduto alle false profezie di una pericolosa invasione di orde selvagge di “extracomunitari” e dopo aver avvallato la creazione di moderni campi di concentramento chiamati di volta in volta CPT e CIE, la popolazione di Lampedusa, finalmente apre gli occhi e si accorge che non esiste così tanta differenza tra loro ed i fuggitivi: entrambi prigionieri di un'unica logica di esclusione e terrore.
Allora inizia il dialogo, si comprende quale è il vero nemico e al gioco della rappresentazione succede il fatto: entrambi si sentono parte di un medesimo gioco di sfruttamento.
Rifiorisce la solidarietà e gli italiani di Lampedusa scendono in piazza insieme agli stranieri reclusi parlando la solita lingua, che ha il tono di un urlo.
Il gioco delle parti impostato dal potere si frantuma, il quale si trova a dover reprimere non solo i “soliti noti” ma anche i propri cittadini.
Questi eventi hanno – per fortuna – capacità riproduttiva. A Massa i senza nome praticano la loro rabbia, chiedendo il riconoscimento dei propri diritti. La reazione del potere è la medesima. Violenza e repressione, accompagnata dal solito silenzio/assenso mediatico per nascondere una delle più grandi paure: che le istanze degli sfruttati diventino voce unica, saldando le rivendicazioni e le pratiche delle persone comuni con quelle dei movimenti antagonisti e degli immigrati. Al punto che il ministro Maroni identifica quale unico reale problema di sicurezza in Italia, ciò che sta accadendo a Lampedusa e altrove.
Nel momento in cui la coscienza dà visione della realtà, diventa ovvio il processo che si innesta, al di là della finzione. Identificarsi con l’aspetto più immediato dello sfruttamento del capitale, non può che realizzare il passaggio ad un tentativo di cambiamento che metterà in discussione tutti i dogmi. Si comprende in questo momento, chi sta dalla parte della ragione e chi, invece, ha come proprio obbiettivo la continuità dell’oppressione.

Rete contro la precarietà - La Spezia

1 commento:

Anonimo ha detto...

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