Le proteste contro l’alto costo della vita, contro la disoccupazione e la corruzione si sono intensificate a partire dalla fine del 2010 in tutto in Nord Africa, tra Tunisia ed Algeria, in tante città, toccando tutti i settori sociali, fino a produrre una situazione di instabilità in entrambi i paesi – cosa che deve preoccupare tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea, i due principali garanti dei sistemi politici oligarchici che si sono perpetuati nel Maghreb, quali “stati cuscinetto” contro l’avanzata del fondamentalismo islamico nella regione.
Bouteflika in Algeria e Ben Ali in Tunisia (per non parlare di re Mohammed VI in Marocco) vengono presentati al mondo come gli “uomini forti” che danno un contributo determinante nel tenere sottomesso ed alla larga il nemico interno, anche al costo di far sprofondare i loro popoli nella povertà e di tenerli sotto il pugno di ferro, smembrando e reprimendo il più possibile ogni tentativo del popolo di auto-organizzarsi o di ricercare un cambiamento politico, oppure schiacciando le minoranze etniche ed assicurando –tramite l’apparato statale- la continuità del sistema tramite l’appoggio di complici agenzie ed organismi sociali, sindacali e politici. E tutto questo con la complicità della “comunità internazionale” a cui sta a cuore soprattutto –oltre ed al di là del rispetto per i diritti umani- l’esistenza di alleati stabili, col duplice fine di proseguire la “guerra al terrore” e di poter contare su buoni partners commerciali.
L’auto-immolazione di un fruttivendolo tunisino di Sidi Bouzid per protestare contro le ingiustizie del regime e contro la mancanza di qualsiasi prospettiva di vita è stata la scintilla che ha acceso il movimento di protesta diffusosi poi da quella città a tutta la Tunisia, con manifestazioni popolari che chiedono maggiore democrazia ed una politica economica diversa da quella antipopolare imposta dalle organizzazioni finanziarie internazionali. Gli abitanti delle baracche intorno alle miniere di carbone, gli avvocati, i giornalisti, i giovani dei quartieri popolari…sono questi i soggetti più attivi e più visibili nelle proteste. La rete TV Al Jazeera, i siti internet e i blogs – nonostante tutti i tentativi di censura e di oscuramento- sono diventate le fonti più importanti per avere informazioni, per sviluppare i contatti ed il coordinamento di un movimento che le agenzie di comunicazione ufficiali –le uniche ad essere legalmente autorizzate- stanno invece cercando di nascondere e di minimizzare.
Le manifestazioni si sono diffuse dalla Tunisia alla vicina Algeria, che sta vivendo una situazione politica e sociale molto simile. L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e di altri beni di base, l’aumento della disoccupazione soprattutto giovanile ed un sistema politico soffocante che impedisce altrimenti l’espressione delle richieste popolari, hanno portato migliaia di persone a scendere in strada per dare vita a manifestazioni di massa che sono state represse con la violenza. Il governo algerino sta affrontando la situazione col classico sistema del bastone e della carota: da una parte ha annunciato un taglio delle imposte sui beni principali ed una semplificazione delle procedure di importazione, mentre dall’altra parte –al pari della vicina Tunisia- sta usando fuoco e sangue per reprimere le proteste, minacciando tutto il peso della legge sugli esponenti più in vista ed affermando –in concerto con gli alleati internazionali- che tutto quello che sta succedendo sia dovuto ad una mano invisibile che vuole destabilizzare il paese, con un evidente riferimento alla minaccia jihadista. L'Algeria, forte presidio della lotta contro la diffusione del fondamentalismo islamico nel Maghreb, è anche il maggiore esportatore di gas ed ha un ruolo chiave quale fornitore di energia per l’Europa.
E’ vitale pubblicizzare e sostenere quanto più possibile la lotta dei popoli del Nord Africa. Il modo migliore per fermare la diffusione del fondamentalismo nella regione non è certo quello di appoggiare i corrotti governi oligarchici dei fedeli seguaci delle politiche di austerità del FMI, le quali sono proprio la causa dello sviluppo del fondamentalismo e della sua diffusione nelle aree più povere della società. E’ necessario promuovere mutamenti strutturali di base nel campo dell’economia e delle politiche sociali, mutamenti che possano migliorare il livello di vita delle masse e promuovere il loro coinvolgimento nella politica su basi di autonomia e di controllo crescente sulle ricche risorse naturali della regione.
E’ chiaro che questa politica non va bene alla “comunità internazionale”, i cui interessi invece richiedono “un clima politico favorevole” agli investimenti ed al controllo sulle materie prime strategiche nella regione, che vanno a vantaggio dei numerosi Stati occidentali che se le accaparrano a poco.
Gli unici soggetti che possono aprire la via per un Maghreb laico con vere democrazie fondate sulla giustizia sociale sono proprio i movimenti popolari, nati dal grembo della classi oppresse, che lottano per i loro interessi in una battaglia senza tregua contro la frusta che le affligge. E noi dobbiamo rafforzare i nostri legami con loro.
Manu García
10 January 2011
Traduzione a cura di FdCA – Ufficio Relazioni Internazionali
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